Gli interessi dell'Europa e dei singoli Stati-nazione
23 Ott 2019

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RIUNIONE DEL 23 OTTOBRE 2019


L'analisi economica del professor Cesare Pozzi


Nell'immagine: Cesare Pozzi con Michele Pierpaoli


Il Professor Cesare Pozzi è docente di Economia applicata all’Università di Foggia e di Economia d’impresa alla Luiss Guido Carli di Roma. Presentandolo, Pierpaoli sottolinea quanto l’economia intersechi tutti i settori della nostra vita e per questo il nostro impegno debba essere quello di conoscere e sviluppare un pensiero costruttivo. Riflette, prima di cedere la parola al relatore, sulle profonde difficoltà che le professioni, ma anche l’industria, stanno affrontando, allontanando dal Paese le menti migliori: forse non funziona qualcosa all’interno del sistema.

Il professor Pozzi prende la parola con il piglio di chi è abituato a “dominare” gli studenti dei suoi corsi, veloce nell’esposizione che non perdona disattenzioni.

Condivide l’utilità dell’analisi economica, che può dare un contributo alla comprensione dei problemi creando un contatto tra chi li analizza (teoria) e chi li deve affrontare (pratica).

Il titolo della relazione è ambizioso, il percorso è ormai segnato ed è difficile cambiare l’”inerzia” che si è innescata. La classe dirigente predilige lo status quo ed è da questa che si deve intercettare interesse al cambiamento. Destabilizzante, per chi si è applicato agli studi di economia politica, il suo esordio: “Le teorie economiche? Balle! E’ il potere che consente che alcune notizie vengano diffuse!” Chiarisce: dal 1969 ad oggi i Nobel escono dalle Università (sempre quelle) che “mettono i soldi”.

L’economia però impatta sulla vita; il paradigma è uno da Adam Smith, mai cambiato dal 1793 sino allo shock petrolifero.

Diverso negli Stati Uniti, dove Ford – nel 1914 - introdusse il concetto di “produzione di beni durevoli” – non più su commessa -, elevando nel contempo la retribuzione del personale da 2,37 dollari a 5: cambia radicalmente il mondo, perché aumenta la circolazione di denaro. Lo Sherman Act, la più antica legge antitrust degli Stati Uniti sulla concorrenza (1890), era già in vigore, anticipando i contenuti della nostra legge 287 varata cento anni dopo. Nel 1914 il Clayton Act rafforza lo Sherman Act, con norme che cercano di prevenire le pratiche concorrenziali.

Dal 1914 al 1929 produttività e salari vanno di pari passo; poi questi ultimi iniziano a diminuire. Il 1929 coincide con l’età dell’oro (mai così tanta produzione e così qualitativamente elevata), poi il collasso, perché la domanda non riesce ad assorbire l’offerta. Unica possibilità l’export, che risolve la crisi dal 1945.

Sul fronte europeo, la Germania nel 1919 è un paese liberale con un’alta produttività; la distribuzione del reddito non è corretta, incanalando i profitti su pochi. Con la fine della seconda guerra perde la piccola e media impresa, aprendo uno spazio che viene riempito dall’Italia che diviene il secondo paese manifatturiero. Il sistema inglese dal 1945 è socialdemocratico e l’Europa inizia, nello stesso anno, ad adottare condotte americane (grande distribuzione).

In Cina, dopo la morte di Mao, dal 1980 vince il riformismo: ogni Paese reagisce secondo la propria classe dirigente. Cinesi e Giapponesi trainano l’economia, l’Italia diviene un paese sostanzialmente terzista; non abbiamo grandi Imprese, si acquisisce per chiudere, con un effetto devastante sul territorio. Dal 1980 si assiste a una serie di errori; alla politica arrivano le menti peggiori, c’è difficoltà a conciliare investimenti pubblici e privati. La Germania – nel 1980 – diviene il Paese di riferimento europeo, sfruttando la forza del lungo percorso storico di sfruttamento delle risorse naturali; l’Italia ne diventa sub-fornitore. In tutto questo l’Europa è un progetto politico, mai economico.

Pozzi elenca poi una serie di citazioni di economisti illustri, che chi scrive fatica a intercettare, sulla circolazione delle merci, sulla necessità di controllare i flussi, sulla positività dei cambi fissi che contengono le incertezze, sull’esigenza che i capitali non escano dallo stato.

L’Europa ha necessità di coordinare la politica monetaria con quella fiscale, non ha una lingua comune né un mercato finanziario unico: in sostanza si è forzato un progetto – che Pozzi definisce “nato morto” - di unione politica basato su un sistema economico inconcludente. L’euro ha un buon rapporto di cambio, ma aumenta le importazioni causando deficit commerciale. L’unico risultato generato dall’euro è “l’effetto ricchezza”, perché 1 euro corrisponde a 1.000 lire. Si assiste a una deindustrializzazione progressiva, subita senza alcun tentativo di cambiamento; chi stava male continua a star male.

La Corea – pur senza risorse – grazie alla Samsung dal 1955 ha una crescita continua. Il Giappone ha un saldo attivo della bilancia commerciale sino al 2011, compra titoli del debito americano con i soldi del resto del mondo grazie all’export. La Cina fa lo stesso. La Germania esporta con valuta bassa e si autofinanzia.

In Italia, a fronte di un patrimonio alto, il Pil è basso e malgrado questo il patrimonio non decresce; diminuisce invece la natalità (dal 1965 senza interruzioni): lo scenario del 2050 è catastrofico, con i settantacinquenni che dovranno andare in pensione a novant’anni. C’è necessità che il sistema cambi, in funzione della situazione attuale, con una modifica drastica degli interventi; l’alternativa è un’accelerazione verso una “società feudale con tecnologie avanzate”, da cui siamo partiti.

Spazio agli interventi, dopo quella che Pierpaoli definisce un’esposizione densa di contenuti.

Brenna rompe gli indugi: “bene la diagnosi, ma la terapia?”. Più incisivo Longatti, che reputa Pozzi un “vulcano ambulante” che ci ha evidenziato una serie di errori che apparentemente sono in contrasto con il comune sentire, anche di esperti (Cottarelli, per esempio, definisce il debito “rovinoso”).

Per Brenna la replica è spietata: non ci sono risposte! Siamo un paese manifatturiero senza risorse naturali, non abbiamo diagnostica e molto altro: serve recuperare dignità e diritti, partendo da un ripopolamento e da un sistema formativo che crei consapevolezza. Va fatto sistema per mettere mano alle reti (non sfruttiamo l’energia che produciamo perché molta va perduta) e per sviluppare tecnologie avanzate. La politica è inadeguata, l’inerzia è segnata; siamo serbatoio per altre nazioni, con i nostri ragazzi che se ne vanno e bisogna invertire la tendenza, creando per loro progetti sul nostro territorio. I margini ci sono, ma non possiamo più aspettare.

A Longatti, che al termine vedrà distrutte le speranze: da molti anni nessuno ha più parlato di “economia politica”. Sul debito: negli ultimi vent’anni abbiamo pagato, con gli interessi, almeno tre volte il debito originario; le Banche hanno trattenuto questi importi e molto è andato alle Compagnie che valutano il nostro rating. La Germania ha un debito altrettanto alto, i numeri sono questi.

Cita Bob Kennedy: “Il PIL misura tutto, tranne ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta..”: una rivoluzionaria visione dell’economia, il cui eco si spense con l’assassinio di Bob. Il controllo delle scuole di economia è fondamentale per il controllo del sistema.

Ancora risponde sul tema della globalizzazione: c’è sempre stata e sino al 1980 si sono salvaguardati gli equilibri. Ora ci vogliono nuove strategie comuni per gestirla.

Rispondendo infine a Corti, come primo intervento immagina una efficace politica finanziaria (il risparmio deve essere reinvestito) che dia impulso alla progettazione sul nostro territorio, dando fiducia alle nostre imprese.

Un ultimo scambio di battute con un ospite (evidentemente un operatore finanziario) su investimenti primari e secondari, conclude la relazione di Pozzi.

Pierpaoli, nel ringraziare, è convinto che numerosi siano gli spunti da cui partire, con margini di manovra ancora possibili per ipotizzare progetti.

Chi scrive chiede scusa per eventuali omissioni o imprecisioni: ormai la capacità di prendere velocemente appunti alle lezioni si è molto affievolita…

Angela Corengia

 

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