“Con la cultura non si mangia. Falso!”
20 Mar 2019

 

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L'incontro in Biblioteca con l'autrice Paola Dubini


Nell'immagine: Angela Corengia, Martino Verga, Paola Dubini, Barbara Minghetti e Alberto Polli



Appuntamento in Biblioteca con gli Amici del RC Como, per un aperitivo che precede l’incontro - aperto alla Cittadinanza - con Paola Dubini, presentata da Corengia. E’ Professore Associato del Dipartimento di Managemet e Tecnologia dell’Università Bocconi, con un lungo curriculum accademico e numerose pubblicazioni: dialogherà, prendendo spunto dal suo ultimo libro “Con la cultura non si mangia. Falso!”, con Barbara Minghetti e Martino Verga.

L’introduzione è di Minghetti: solo vent’anni fa cultura ed economia erano due mondi diversi: la Bocconi, anche grazie a Dubini, fu la prima ad attivare corsi di cultura economica, dando un cambio di marcia e coniugando gli aspetti umanistici alle attività di impresa.

Dubini conferma: fu un lavoro titanico convincere i Colleghi della Bocconi. Bisognava portare logiche gestionali in un mondo non economico, cambiando il criterio di “economia delle arti” in “economia per le arti”. La cultura ci fa sentire profondamente a casa, attraverso le tradizioni, il paesaggio, la musica, i monumenti..).

Rispondendo poi alle sollecitazioni di Minghetti e Verga, ha constatato che il tema cultura-economia è di grande centralità, se pur vissuto in maniera diversa nelle Città che ha visitato nel tour per la promozione del libro. A Venezia la cultura è la leva dell’economia, non tanto per il turismo di massa ma per le raffinate manifestazioni (la Biennale, il Festival del Cinema, le Mostre e non solo). Vicenza è invece una città disperata, patisce le conseguenze dello scandalo della Banca Popolare che fu sempre grande sponsor delle attività culturali.

Parma ha subito le stesse vicende di Vicenza (con la Parmalat) nel 2003, ma vent’anni dopo è risorta. Ha saputo far convergere la grande varietà della Società civile, perché la cultura è affare di tutti e serve come attrattore di turismo e cardine di aggregazione sociale. I Giovani hanno interagito da protagonisti in questo progetto, riconoscendo un grande valore anche economico alla cultura.

Verga ritiene che la cultura non sia solo arte e umanesimo, ma anche l’intero ingegno umano (quindi scienza) e natura. Difficile attrarre risorse per attività meramente culturali, più facile per progetti con contenuti sociali. Cita Milano come Città che ha sfruttato abilmente alcune opportunità che sono prioritariamente economiche (gli investimenti immobiliari di Porta Garibaldi, per esempio), per dare una nuova immagine a quartieri in passato degradati, ora al centro di attività straordinarie.

Dubini concorda: i Milanesi sono oggi convinti che la loro città sia bellissima, non così in passato. Expo è stata vissuta all’inizio male dai Milanesi, addirittura con una manifestazione il giorno dell’inaugurazione che ha causato danni in centro. Proprio questo ha dato spunto al cambiamento, aggregando i Cittadini a difesa della Città (“operazione moccio Vileda” la chiama Dubini) e dando la consapevolezza che forse Expo sarebbe anche stata una grande offerta culturale. Così è: oggi il calendario degli eventi milanesi è ricchissimo (i numerosi “week end e non solo), pianificati attraverso uno sportello unico che li coordina.

Minghetti analizza le difficoltà delle piccole realtà culturali, che faticano ad attrarre finanziamenti: è d’accordo Dubini, le priorità d’investimento sono sempre “altre” rispetto alla cultura, le opportunità offerte ai giovani sono scarsissime, con possibilità di carriera solo ai vertici. E’ un giro vizioso, perché le ricadute sull’economia sono basse proprio perché non si investe (la cultura rappresenta solo lo 0,28% del bilancio statale). Se solo raddoppiasse lo stanziamento, in termini assoluti non costituirebbe significativi scostamenti, ma per il mondo culturale sarebbe linfa vitale. Siamo l’ultimo paese europeo per consumi delle famiglie in cultura; c’è necessità di investimenti costanti anche se contenuti. Il beneficio economico non è direttamente su chi investe, ma su chi ricade: il rapporto è di 1,8 a 1 (per il Teatro alla Scala 2,7 su 1), ma c’è anche tutto un indotto di immagine che si ripercuote nel mondo. L’importanza della cultura è sottolineata dall’utilizzo che ne fa l’Industria italiana per pubblicizzarsi (Dolce & Gabbana, Lavazza ecc.), con una grande inerzia sicuramente superiore a 2,7 e difficilmente quantificabile.

A Verga conferma che l’offerta culturale è molto aumentata, pur se le risorse sono diminuite: fortunatamente il patrimonio italiano, principale fonte delle economie di molti territori, non richiede costi di “produzione” (ma solo di manutenzione).

In generale le Città usano la cultura in due modi: utilizzando il patrimonio culturale per lo sviluppo economico o inserendo costruzioni iconiche di Archistar che ne definiscano una nuova immagine: in quest’ultimo caso è più facile trovare finanziamenti “esterni”.

Aram Manoukian osserva come le Città prese in considerazione (Parma, Torino, Milano) siano partite da una crisi che può aver generato il rilancio, dando valore aggregativo alle persone che hanno riacquistato l’orgoglio per la propria Città: hanno proposto idee, iniziative, soluzioni innovative che necessariamente hanno fatto confluire risorse: a Como non dovremmo aspettare la crisi, per ripartire. Dubini è d’accordo in parte, la crisi non deve essere una condizione assoluta. La cultura non è il petrolio, non si esaurisce: il patrimonio non è alienabile ma ha un gran valore di relazione attraverso processi circolari che coinvolgono non solo le Città italiane (il Museo Egizio di Torino interagisce con l’Egitto esempio).

Arcioni ritiene che la scelta di Matera 2019 sia un investimento effimero. Dubini conosce meno la realtà di Matera (ha lavorato per Parma 2020), ma ritiene che sia comunque un trucco furbo perché il finanziamento di 1 milione di euro costringe a realizzare progetti in rete per raggiungere gli obiettivi. Bisogna saper poi far entrare a regime le iniziative intraprese grazie ai finanziamenti, magari con inevitabili ridimensionamenti, con programmi costanti nel medio-lungo periodo.

Secondo Minghetti queste sono occasioni che stimolano l’attività delle comunità, che un unico soggetto non riuscirebbe a realizzare.

Longatti ricorda come Como abbia i suoi edifici simbolo. Il tema è ripreso da Corengia (noi le Archistar le abbiamo: Terragni, sant’Elia ecc.), che sottolinea quanto ricco sia il patrimonio culturale comasco; quello che fatica a consolidarsi è la capacità di fare rete tra i soggetti che “fanno cultura” per sfruttare risorse su progetti comuni (in questa direzione va il bando dei fondi alla Cultura del Comune di Como).

Minghetti ricorda infine come a Bregenz, una città senza un grande patrimonio culturale, un gruppo di cittadini abbia “inventato” anni fa una manifestazione che, partita da una chiatta sul Lago dove si teneva un concerto, è ora un Festival internazionale (sempre sul Lago) che dura tutta l’estate. Un’idea apparentemente modesta, che da vitalità all’intera economia della Cittadina.

Chiude con i saluti finali e i ringraziamenti di rito il presidente del RC Como, Alberto Polli: abbiamo fatto Rotary, aprendo alla Città un’interessante conferenza.

Angela Corengia

 

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