“Fine – vita volontario in Olanda – Libertà di decidere.”
17 Gen 2018

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RIUNIONE DEL 17 GENNAIO 2018

 

Il socio Giovanni Agterberg presenta il libro che documenta come l'Olanda ha affrontato il tema dell'eutanasia

 

Nell'immagine: Mario Riccio, Michele Tomaselli e Giovanni Agterberg



Giovanni Agterberg ha fatto un lavoro da certosino per scrivere il libro che oggi ci presenta, “Libertà di decidere”. Ha raccolto molto materiale della sua patria d’origine (norme, giurisprudenza, statistiche), cercando di approfondire un tema molto dibattuto, senza dare indicazioni ma fornendo un quadro informativo per giudizi poi individuali. Questo perché, pur non essendo uno strenuo sostenitore dell’eutanasia, non sopporta che si dia una visione falsa della legge che nel 2002 la legalizzò in Olanda, il primo Paese europeo a introdurla. Generata da una filosofia che, già dagli anni ’90, aveva spinto il Governo a porre in grande rilievo la persona sofferente, scostandosi da ragionamenti ideologici e/o religiosi.

La definizione olandese di “Eutanasia” (Il fine vita intenzionale da parte di qualcun altro, su richiesta esplicita della persona interessata) apre le slide illustrative. In Olanda il “fine-vita” non è sedazione terminale o palliativa, né rifiuto di trattamento, né una decisione non volontaria del paziente. Il sistema sanitario favorisce l’assistenza primaria e il diritto di morire a casa, garantendo una sicurezza sociale per tutti. Già dal 1973 – e poi ancora negli anni successivi - la Magistratura si era pronunciata a favore dell’autodeterminazione del paziente nella scelta del fine-vita, pur ponendo criteri severi (sofferenze insopportabili, assistenza medica e psichiatrica, segnalazioni al P.M.) nell’ambito dell’articolo 40 del Codice penale, che non considera punibili i “reati costretti da cause di forza maggiore”. Il dibattito che inevitabilmente nacque portò alla costituzione di Commissioni ad hoc, con una ricerca accurata su vasta scala, sino alla legge del 2002.

L’eutanasia continua a essere considerata reato, salvo quando un medico agisca seguendo criteri di accuratezza ben definiti: la richiesta del paziente deve essere volontaria e ben ponderata, le sofferenze insopportabili, senza alternative e senza speranza, l’informazione al paziente sulla situazione clinica deve essere corretta ed esaustiva, ci deve essere consultazione medica obbligatoria e buone pratiche mediche. Cinque Commissioni regionali accertano l’applicazione di questi criteri e segnalano al P.M. i casi non “accurati”. Al 2016 solo in 14 casi – 0,2% - non sono state applicate queste norme di salvaguardia. Il medico curante che ha preso in  esame la richiesta di eutanasia del paziente deve sempre coinvolgere un medico che fa parte dello SCEN (l’organismo di supporto e consiglio, che è anche responsabile per la formazione specifica dei medici). Insieme accertano le condizioni fisiche terminali del paziente.

Giovanni ha raccolto dati statistici significativi: per esempio nel 2016 i casi di eutanasia segnalati sono stati 6.091, di cui il 68% per patologie tumorali. Il ricorso all’eutanasia, nel 2015, si attesta al 2,9% del totale dei decessi.

Il medico può rifiutare la richiesta di eutanasia per motivi ideologici o religiosi; in tal caso deontologicamente la deve segnalare a un collega; gli obiettori sono circa il 10%, cui si aggiunge un altro 10% non favorevole per altri motivi (es. burocratici). Nei casi problematici, come pazienti psichiatrici e pazienti che soffrono di perdita di cognizione, s’inseriscono persone che considerano la loro “Vita compiuta” (distacco, isolamento, perdita di motivazione e di controllo, decadimento fisico, sociale e mentale) senza essere malati terminali. Per questa categoria sono state intraprese altre iniziative che tuttavia non sono più una priorità del Governo. La possibilità di ricorrere all’eutanasia per uno straniero è praticamente impossibile.

Oltre all’assistenza medica e di un consulente, è prevista una via autonoma all’eutanasia, che non si avvale di nessun aiuto (solo utilizzo d’informazioni e consigli) e adotta la sospensione di trattamenti medici o lo smettere di mangiare e bere.

Il “Centro di fine vita” valuta i casi complessi (es. quando il medico rifiuta la richiesta del paziente); nel 2016 ha preso in esame 1.508 casi, accogliendone 498 e respingendone 326. Nel 36% le domande sono state ritirate (o accolte dal medico curante) e nel 14% si è verificato il decesso prima della decisione.

Ultimo argomento trattato i minori: l’eutanasia è consentita per neonati (fino a 12 mesi), a minorenni sino a 16 anni con autorizzazione dei genitori e da 16 a 17 senza l’autorizzazione; è vietata tra 1 e 12 anni. L’aborto tardivo (dopo 22 settimane di gestazione) deve avere autorizzazione preventiva da un’apposita commissione.

Il libro prende anche in esame concetti errati e fornisce una serie di dati pratici, rilevando come l’assistenza medica al morire spesso riesca a prolungare la vita, invece che porvi termine.

Prende poi la parola il dottor Mario Riccio, specialista in Anestesia e Rianimazione. Giudica il lavoro di Giovanni un testo di ricerca serio, che correttamente non da nessuna indicazione di scelta. I dati forniti rendono evidente un iter legislativo sofferto, sia giuridico che etico-sociale, non privo di resistenze. Come medico apprezza le decisioni adottate in Olanda che, ricorda, è il primo Stato ad aver introdotto le cure palliative domiciliari, tuttora praticate; l’eutanasia interviene dove queste hanno effetti nulli. Il fine-vita è medicalizzato ma l’autodeterminazione è preponderante.

Dopo gli interventi di Longatti, Capsoni e Bianchi Longo, Riccio e Agterberg precisano che comunque non c’è eutanasia senza la manifestazione di volontà dell’interessato; per questo, nei casi di demenza senile, si procede solo se questa è stata pianificata. La “pillola” per l’eutanasia non è ancora approvata.

Un lavoro interessante e che fornisce, oltre a un quadro completo, molti spunti di riflessione: bravo Giovanni, grazie!

Angela Corengia

 

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