Il cuore senza fili
09 Nov 2016

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CONVIVIALE DEL 9 NOVEMBRE 2016


Un viaggio all’interno delle tecnologie del terzo millennio con Gianluca Botto


Nell'immagine: Gianluca Botto con Fulvia Bianchi Longo


 

Niente più fili nelle vene né tasche sotto la cute o nel muscolo pettorale: tutto ciò che serve per regolare il ritmo cardiaco può essere contenuto in una piccola batteria inserita direttamente all’interno del cuore.

Questa l’ultima generazione di pacemaker, una rivoluzione wireless (senza fili) che permette interventi mininvasivi, senza punti di sutura, senza rischio di rotture di elettro-cateteri e con un minor rischio d’infezione.

L’idea originale è stata di una start-up statunitense, successivamente - come spesso accade - acquisita da una delle multinazionali leader in dispositivi medici impiantabili: pacemaker “leadless” hanno recentemente ottenuto la possibilità di essere immessi nel mercato europeo. A valutarne il funzionamento e testare la procedura d’impianto nei pazienti saranno, nei prossimi mesi, alcuni centri di aritmologia selezionati in diversi paesi europei, tra cui l’Italia; la lista comprende l’Ospedale Sant’Anna della nostra città.

Dieci volte più piccolo degli attuali pacemaker, quello “senza fili” si aggancia direttamente all’interno della camera ventricolare tramite una sonda inserita dall’inguine. In tempi ridotti: meno di 30 minuti in media, la metà rispetto all’intervento di posizionamento di un pacemaker tradizionale. La tecnica mininvasiva si è dimostrata estremamente sicura ed è molto simile a quelle oggi adottate per inserire stent coronarici o clip valvolari. Per i pazienti si accorciano i tempi di recupero post-operatorio, perché non si deve attendere la cicatrizzazione dei tagli chirurgici. Si allunga la durata della batteria a 8-12 anni, mentre gli attuali pacemaker, invece, devono essere sostituiti ogni 5-8 anni.

I primi interventi avverranno su un numero limitato di pazienti, selezionando esclusivamente i casi che necessitano la stimolazione di una sola camera cardiaca, ovvero il ventricolo. Sono i casi meno frequenti, in cui il pacemaker serve a sostenere il ritmo cardiaco e interviene solamente quando si verifica un severo rallentamento della frequenza cardiaca. Degli oltre 60 mila italiani che ricorrono ogni anno all’impianto salvavita per il cuore, oltre i tre quarti necessitano invece di una stimolazione sia atriale che ventricolare: il primo modello di pacemaker wireless, quindi, non è ancora in grado di offrire loro un beneficio terapeutico. In futuro l’evoluzione di questo dispositivo consentirà di avere una stimolazione bicamerale e si potrebbe arrivare anche al defibrillatore, dispositivo più elaborato rispetto al pacemaker.

Il punto debole dei pacemaker tradizionali è legato al filo elettrico che mette in comunicazione la batteria, situata nel petto del paziente, e il cuore: anche se con basse percentuali, può danneggiarsi o infettarsi, così come la tasca in cui il chirurgo inserisce il generatore. Per evitare gravi conseguenze, l’unica opzione in caso di infezioni è la rimozione chirurgica dell’impianto completo, un intervento complesso e ad alto rischio per il paziente. Potendo rinunciare al filo del pacemaker, si punta a minimizzare queste complicanze, abbattendo i costi sanitari a esse associati e controbilanciando così la spesa ospedaliera per i nuovi dispositivi, che è il doppio rispetto ai pacemaker attualmente in uso.

Gianluca Botto

 

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