Premessa
Nel preparare queste note mi sono ricordato il titolo italiano della Recherche di Marcel Proust, e ho pensato che sarebbe stato interessante, come ho fatto, intitolarle “Alla ricerca della crescita perduta”. Anche se questo titolo rispecchia solo in parte il contenuto di queste note, volte soprattutto ad illustrare che cosa è la crescita economica, non sono riuscito a trattenermi dall’utilizzarlo, e per questa debolezza mi scuso anticipatamente con le signore e i signori presenti.
Fatta questa premessa, la mia intenzione è di proporre e illustrare qualche aspetto di carattere generale sul problema macroeconomico della crescita, attualmente diventato croce e delizia di economisti, accademici e non, di giornalisti economici, e di operatori economici e finanziari di ogni tipo, dalle imprese che producono beni e servizi, alle imprese che operano nel settore della distribuzione, agli enti addetti alla creazione e gestione della moneta e del credito, alle società di gestione del risparmio. Alla crescita economica è strettamente collegato il problema attualmente più grave e assillante di tutti, quello della disoccupazione delle persone, il cui tasso è attualmente in Italia intorno all’11,6%, secondo le stime contenute nel numero di aprile del Bollettino economico della Banca d’Italia, mentre la disoccupazione giovanile tocca addirittura un livello disastroso, oltre tre volte quella totale, e non lascia promettere nulla di buono per i nostri giovani, speriamo solo nel breve periodo.
Economia e finanza
Prima di entrare nel vivo desidero porre l’accento sull’impiego inappropriato di un termine di uso corrente, specialmente nei contributi di carattere giornalistico. Si sente parlare e scrivere frequentemente di “economia reale” e di “economia finanziaria”; nell’ascoltare e vedere scrivere l’espressione “economia finanziaria” sembra a me di avvertire una irriverente e tutto sommato immeritata detrazione dell’economia. In realtà, almeno secondo il mio modesto punto di vista, che credo sia largamente condiviso dagli economisti accademici almeno nei loro scritti di carattere scientifico, esistono due distinti comparti della conoscenza e dell’attività pratica: l’economia e la finanza. L’economia si occupa della produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi, compresi la moneta e il credito, mentre la finanza ha come oggetto la predisposizione di strumenti immateriali il cui scopo dovrebbe essere quello di facilitare l’impiego fruttifero del risparmio e la salvaguardia dei patrimoni, soprattutto quelli di natura finanziaria, con riferimento sia alle famiglie sia alle imprese.
E’ un fatto che gli strumenti inventati dalla moderna finanza, spesso denominata a giusto titolo “finanza creativa”, si sono accresciuti a dismisura negli ultimi dieci o quindici anni, tanto che il loro valore è considerato essere pari da sei a nove volte il prodotto mondiale lordo (PML), che nel 2012 valeva all’incirca 53200 miliardi di euro. Alcuni esperti ritengono addirittura che gli strumenti finanziari raggiungano un ammontare pari a venti volte il prodotto mondiale lordo, ma forse questa stima è davvero esagerata. Comunque sia, se l’attuale perdurante recessione di dimensioni mondiali è paragonabile a quella iniziata nel 1929 del secolo scorso, forse una parte significativa del demerito è imputabile alla disinvolta finanza dei nostri tempi.
Che cosa si intende per crescita (economica)
Prima di parlare della crescita economica è opportuno almeno ricordare che verso la metà dell’Ottocento, forse stimolato dal saggio sulla popolazione di Robert Malthus che vide la luce alla fine del Settecento, l’economista inglese John Stuart Mill pubblicò il volume Principles of Political Economy, dove nel Libro IV, Capitolo VI, intitolato On the Stationary State, si dichiara favorevole allo stato stazionario sia della popolazione che dell’economia, purché l’economia sia piuttosto florida e la distribuzione del reddito tra le persone abbastanza equa. Il Mill è uno dei principali economisti nella storia del pensiero economico, ed il suo insegnamento merita molta attenzione anche oggi, atteso il fatto che viviamo su un pianeta dalla superficie e dalle risorse limitate, che attualmente ospita un po’ più di sette miliardi di abitanti, con la previsione di arrivare a oltre dieci miliardi entro la fine di questo secolo.
Dopo questa digressione, prendiamo in considerazione un singolo paese, in questa sede ovviamente l’Italia, il cui prodotto interno lordo, secondo i dati ISTAT, per il 2012 a prezzi di mercato vale 1565,9 miliardi di euro correnti, a fronte di un debito che supera i 2000 miliardi. Nonostante tutto, l’Italia rimane il secondo paese manifatturiero dell’Europa, secondo solo alla Germania. Dal punto di vista strettamente economico, la crescita (o meno) di un paese viene correntemente misurata analizzando l’andamento temporale del suo prodotto interno lordo (PIL). In Italia è l’Istituto Centrale di Statistica (ISTAT) che svolge continue rilevazioni atte a misurare il PIL anno dopo anno. L’elaborazione numerico—statistica fondamentale porta l’ISTAT a pubblicare ogni anno il tasso relativo di variazione, per settori produttivi, del valore di tutti i beni e servizi prodotti nel paese. La formula che esprime questo tasso, qui indicato col simbolo r(t) relativamente al generico anno t, e che non è necessario mostrare, è la seguente: r(t)=[Y(t)-Y(t-1)]/Y(t-1), dove Y(t) indica il prodotto interno lordo relativo all’anno t.
La forza dei tassi
Per comprendere quanto si dirà successivamente, è opportuno soffermarsi brevemente sull’aritmetica dei tassi di crescita. Considerando il tempo come variabile discreta, una formula molto semplice regola come una qualsiasi grandezza (popolazione, PIL, somma di denaro, …) evolve nel tempo; questa formula è (1+r)^t, dove r rappresenta la velocità di variazione della grandezza in oggetto durante un singolo periodo di tempo e t indica il tempo trascorso dall’istante iniziale, supponendo ben inteso che il tasso rimanga costante nel tempo. Se il tasso non è costante, allora 1+r è ottenuto prendendo la media geometrica di tutti i valori annuali 1+r(t).
Immaginiamo di considerare un intervallo di tempo di un secolo, ossia t=100, che nella storia umana è certamente un breve tratto, e vediamo quanto una grandezza, il cui valore sia convenzionalmente posto uguale all’unità all’inizio di un secolo, si accresce alla fine dell’ipotetico secolo per alcuni valori del tasso r. La formula sopra indicata diventa (1+r)^100 e semplici calcoli danno questi risultati:
per r=0,01 si ottiene il valore 2,7048
per r=0,02 si ottiene il valore 7,2446
per r=0,04 si ottiene il valore 50,5049
per r=0,05 si ottiene il valore 131,5013
per r=0,07 si ottiene il valore 867,7163
per r=0,10 si ottiene il valore 13780,61.
Proviamo a immaginare la possibile portata concreta di questi valori. Per esempio, riferiamoci alla Cina, la cui popolazione attuale si aggira attorno a un miliardo e trecentocinquanta milioni, e che economicamente per molti anni è cresciuta ad un tasso vicino al 10%. Potrebbe mai la Cina, per un intero secolo, crescere economicamente in media a questo tasso annuale? Il suo PIL diventerebbe 13780 volte quello attuale, una enormità inimmaginabile. Se anche crescesse solo al tasso medio del 7% annuo, in un secolo l’economia della Cina avrebbe una dimensione pari a 867 volte quella attuale. Eppure, molti commentatori economici, che non hanno evidentemente riflettuto sulla forza dirompente dei tassi di crescita persistenti, elogiano la crescita economica tumultuosa della Cina odierna, senza rendersi conto che è del tutto irraggiungibile, se non per un limitato numero di anni. Forse il tasso medio del 10% potrebbe verificarsi per un piccolo paese arretrato con un PIL molto basso e una popolazione numericamente ridotta. Probabilmente, almeno a livello mondiale, un tasso di crescita medio annuo secolare dell’economia attorno al 2% sarebbe già più che soddisfacente, con buona pace di coloro che ritengono di poter sostenere una crescita economica ben più accentuata. Vari tipi di andamenti temporali del PIL
Dopo avere sinteticamente esaminato la forza dei tassi di crescita, mi propongo di illustrare le possibili traiettorie temporali per il PIL di un generico paese. Gli economisti, almeno quelli un poco formalizzati e che quindi non disdegnano le formule, discutono dei problemi economici concreti anche attraverso l’impiego di modelli cosiddetti macroeconomici, che sono rappresentati da sistemi di relazioni matematiche, modelli più o meno complessi in relazione agli obiettivi che ci si propone di conseguire. Ciò che intendo sottolineare quando si analizza un modello macroeconomico dinamico, senza presentare però qui alcun modello formale, è il fatto che in dipendenza dai valori assunti dai parametri che caratterizzano il modello può succedere che l’evoluzione temporale delle variabili economiche incluse nel modello possa presentare una continua evoluzione, oppure una continua contrazione, oppure la stazionarietà, o infine un andamento altalenante caratterizzato da fasi di crescita (espansione) seguite da fasi di decrescita (recessione). Ma nel prossimo paragrafo ricorderò un ulteriore e complesso possibile andamento delle variabili economiche.
Le successive quattro figure rappresentano il tempo sull’asse delle ascisse, e sull’asse delle ordinate la grandezza in esame, ovvero nel caso presente il PIL. Nella situazione di continua espansione della grandezza considerata, che si ottiene quando il tasso di crescita annuale r è positivo, la rappresentazione grafica è la seguente, dove Y(0) rappresenta il valore iniziale della grandezza e t il tempo:
Se invece la grandezza in oggetto si contrae continuamente, essendo r negativo, la rappresentazione grafica è
Infine, il caso della grandezza di valore stazionario, valido per r=0, è rappresentato dalla figura seguente: Prima di proseguire mi sembra importante richiamare esplicitamente quanto si deduce dal semplice modello macrodinamico dal quale sono tratte le tre possibili figure precedenti. In questo modello il valore di 1+r è il prodotto di due grandezze, denotate coi simboli s e k. Il simbolo s rappresenta la propensione al risparmio dell’economia, ossia la frazione di PIL che viene sottratta al consumo corrente per essere destinata ad accrescere la dotazione di capitale impiegato nella produzione di beni e servizi, e quindi ad accrescere i consumi futuri; k rappresenta invece il coefficiente di produttività dell’economia, ossia di quanto viene moltiplicata la dotazione di capitale per ottenere la produzione totale dell’economia, vale a dire il PIL. Abbiamo quindi 1+r=sk. Come si vede senza difficoltà, a parità di s maggiore è il coefficiente k e più grande è la velocità di crescita dell’economia, così come a parità di k più grande è s e più grande è questa velocità. Possiamo dunque genericamente affermare che il tasso di crescita in questione dipende sia dalle innovazioni introdotte nell’economia, che fanno crescere k, sia dalla capacità di risparmio della collettività, che agisce su s e rende possibile il finanziamento degli investimenti, e quindi delle innovazioni. Mentre il primo è un dato essenzialmente tecnico, il secondo è un dato prevalentemente di natura psicologica. I dati sulla propensione al risparmio degli Italiani dicono che nel 1990 la propensione al risparmio in Italia si aggirava attorno al 20%, mentre nel 2012 si è ridotta al 9,7%, secondo rilevazioni della Banca d’Italia.
Questi ora illustrati sono i possibili andamenti temporali più semplici del PIL, ma in modelli più complessi gli andamenti temporali delle principali variabili economiche possono essere decisamente più complicati. La figura seguente, che può rappresentare per esempio il PIL generato dalla soluzione di un modello macrodinamico contenente ritardi temporali, è una rappresentazione tipica dei cosiddetti cicli economici:
La linea tratteggiata rappresenta la tendenza di lungo periodo del PIL (qui considerata ottimisticamente come crescente in permanenza), mentre la curva continua, piuttosto irregolare, che si svolge attorno alla linea tratteggiata, rappresenta l’effettivo andamento della grandezza in esame, con fasi di crescita (o espansione) e di decrescita (o contrazione) attorno alla linea di tendenza.
Il caos deterministico
Quando gli economisti applicati sbagliano previsioni, e questo è quasi sempre vero, una valida giustificazione ai loro errori può essere avanzata analizzando modelli che portano al cosiddetto caos deterministico. Di che cosa si tratta.
Nel 1963 il fisico dell’atmosfera Edward Lorenz formulò un modello per ottenere previsioni del tempo e scoprì, attraverso l’impiego di simulazioni numeriche, che le traiettorie generate dalla soluzione del modello potevano essere estremamente complesse. In seguito, anche gli economisti si sono cimentati nella costruzione di modelli dinamici capaci di generare simili traiettorie. Per restare nel semplice, un modello macroeconomico dinamico capace di generare simili traiettorie complicate e imprevedibili è basato sulla cosiddetta mappa quadratica, rappresentata da una equazione in tempo discreto che fa dipendere l’evoluzione temporale della grandezza analizzata da due forze contrapposte: una forza positiva dipendente dal valore attuale della grandezza stessa, e una forza negativa dipendente dal quadrato del valore attuale della grandezza. Scelti opportunamente i valori dei parametri, per piccoli valori della grandezza medesima prevale la forza positiva, ma quando il valore diventa sufficientemente grande prevale la forza negativa, e spesso l’alternanza tra espansione e contrazione non si arresta mai nel tempo e segue fasi sempre diverse l’una dall’altra. La forza positiva rappresenta come crescerebbe naturalmente la grandezza in oggetto se non esistessero condizionamenti esterni, mente la forza negativa rappresenta un freno, la cosiddetta “carring capacity”, che agisce quando il valore della grandezza supera una certa soglia. Per esempio, se si pensa alla popolazione come la grandezza oggetto di indagine, finché essa è numericamente limitata rispetto al territorio su cui insiste la popolazione cresce, ma quando il suo valore diventa elevato succede che il territorio non è più in grado di sostenere la presenza di un numero elevato di persone, e agisce pesantemente il freno repressivo.
Una rappresentazione grafica, utile per dare un'idea della evoluzione temporale della grandezza in oggetto, è la seguente:
Diversamente dalle figure precedenti, qui l’asse delle ascisse rappresenta il valore della grandezza analizzata in un generico periodo di tempo, t-1, mentre sull’asse delle ordinate è rappresentato il valore della stessa grandezza ma nel periodo successivo, t. Si riesce almeno ad intuire, dall’esame di questa figura, che relativamente ai valori assunti dalla grandezza in esame ci possiamo trovare a sinistra della linea tratteggiata, e quindi la grandezza esaminata cresce nel tempo in modo discontinuo; ma quando il valore corrente della grandezza si colloca a destra della linea verticale, si ha una diminuzione nel valore della grandezza in oggetto. Questa situazione fa sì che in molti casi si possono presentare traiettorie del tutto complicate e assolutamente imprevedibili “a priori”.
Qualche conclusione operativa
Non penso di essere stato utile, né intendevo esserlo, per contribuire a comprendere e superare l’attuale fase di recessione che colpisce più o meno tutte le economie del mondo avanzato. La mia intenzione più modestamente è stata dare un’idea generale del terreno su cui ci si muove quando si considera il problema della crescita economica. I più saggi fra gli economisti affermano che in economia non è possibile prevedere il futuro, poiché si sbaglia quasi sempre, mentre si può agire per cercare di programmarlo. Ma qualche riflessione pratica conclusiva penso di poterla offrire.
Nei periodi di crescita possono nascere nuove imprese, non sempre solidamente basate. C’è chi si improvvisa imprenditore attratto da prospettive di consistenti profitti, senza averne le doti umane e tecniche. Ma poi seguono immancabilmente periodi di recessione, quando i tassi di crescita diventano negativi per un certo numero di anni consecutivi, come accade oggi per molti paesi. Si verificano allora numerosi fallimenti di imprese, con conseguente aumento della disoccupazione e simultanea distruzione di capitale materiale (impianti, macchine, …). In linea generale i fallimenti coinvolgono, in ogni settore produttivo, le imprese meno competitive, ossia quelle dotate di impianti superati, con produzioni antiquate, nelle quali imprese l’innovazione non ha fatto breccia. Senza volere minimamente essere cinico, poiché la disoccupazione dei lavoratori è un problema sociale enorme, non posso non ricordare che il fallimento delle imprese meno efficienti comporta un corrispondente aumento nell’efficienza globale dei vari settori produttivi coinvolti. Questo fatto, almeno nel medio e lungo periodo, contribuisce a favorire la ripresa economica, e successivamente, si spera, anche il riassorbimento dei lavoratori rimasti disoccupati. In poche parole, fasi di depressione seguite da successiva ripresa sono fisiologiche in ogni moderna economia di mercato.
La ripresa dell’economia italiana deve poter contare anche sulla cosiddetta economia ecologica, o “green economy”, che nel nostro paese incomincia a trovare un’opinione pubblica piuttosto attenta e favorevole. Papa Francesco, nella Sua omelia del 19 marzo scorso, ha ricordato a tutti, credenti e non credenti, che dobbiamo essere “custodi del creato”. In questo ambito il settore forse più importante da coltivare, almeno nel nostro paese, è quello delle cosiddette energie rinnovabili, posto che attualmente l’Italia rimane un grande importatore di fonti energetiche tradizionali, quali elettricità e petrolio, entrambe ad alto contenuto inquinante per l’ambiente in cui viviamo. Anche le attività di disinquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo dovranno assorbire una quota significativa del PIL, per consentire una crescita dell’economia che sia ecologicamente sostenibile nel lungo periodo. Inoltre, importante è e rimane l’innovazione tecnologica, in quanto capace di predisporre tecnologie sempre meno consumatrici di energia e ad emissioni inquinanti prossime allo zero.
Un ulteriore fattore di sviluppo della nostra economia è rappresentato dalla tutela e valorizzazione del nostro patrimonio artistico e paesaggistico, per il quale si fa ben poco e spesso anche male. Vale la pena di ricordare che ad oggi (giugno 2013) sono quarantotto i siti italiani proclamati dall’Unesco patrimonio dell’umanità, numero maggiore che per qualunque altro paese.
Un’ultima considerazione riguarda il settore dell’istruzione e della ricerca. Il nostro paese spende una frazione esigua del PIL, attorno al 4,6%, per questo settore. Eppure la crescita, sia sociale che economica, di un paese dipende in misura determinante dalla spesa, sia pubblica che privata, destinata a questo fondamentale settore della vita nazionale. Essa si indirizza innanzitutto e giustamente ai giovani; sono loro i veri protagonisti della società, in quanto loro sono il futuro di ogni paese.
PierCarlo Nicola
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