CONVIVIALE DEL 19 GIUGNO 2013 La tradizionale visita alla alla Mostra di Villa Olmo Nell'immagine: Giuliano Collina, Michele Pierpaoli, Giacomo Colombo e Luigi Cavadini
Tradizionale visita alla mostra di Villa Olmo, quest’anno dedicata all’architetto comasco Antonio Sant’Elia. Ci accoglie l’assessore alla cultura Luigi Cavadini, che con il curatore Marco De Michelis tenne la relazione illustrativa in una recente conviviale. Ci faranno da guide Giuliano Collina e Michele Pierpoli. E’ Giuliano a illustrarci, per primo, il percorso espositivo, che si sviluppa attorno all’idea di “Città futura” di Sant’Elia. La premessa è che dobbiamo dimenticare le precedenti edizioni della Mostra, in genere monotematiche e forse più facili da interpretare; altra precisazione: non è una mostra di architettura, anche se una parte delle opere esposte rimanda a soluzioni progettuali, peraltro mai realizzate. I disegni di Sant’Elia – esposti nella prima sala - sono lo spunto da cui parte un nuovo concetto di città, che si ribella ai modelli preesistenti, declinata successivamente dagli artisti esposti. Nelle sale successive vedremo i bozzetti per le scenografie di Metropolis (di cui che viene proiettato in continuazione un frammento del film, mentre la versione integrale restaurata è visibile una volta al giorno) di Erich Kettelhut, che raccoglie le suggestioni di Sant’Elia per le strutture verticali stratificate della Città e altre opere, tra cui un piccolo olio di Sironi (“Sintesi di paesaggio urbano” – straordinario), un Léger e un Boccioni (quest’ultimo un po’ estraneo al tema espositivo). La carrellata di Giuliano ci porta poi, attraversando velocemente le sale successive che verranno commentate da Pierpaoli, alla città virtuale di Cao Fei, una giovane artista cinese che ambienta la Second life del suo Avatar in una Città composta da architetture riconoscibilissime (la città proibita e lo stadio di Pechino, Il Guggenheim di New York e numerose altre), una sorta di collage di immagini che girano su se stesse, cambiando continuamente la visione urbana d’insieme. E’ un altro modo di fare arte, che concettualizza gli spazi architettonici della città, come quello del protagonista delle due ultime sale - Chris Burden – che ha raccolto una miriade di piccoli modellini di carta, plastica e altri materiali (originariamente decorazioni natalizie, oggetti da collezione, componenti per plastici di trenini ecc.) per ri-creare la città di Los Angeles con il suo paesaggio circostante. Un’opera quasi maniacale, che parte dal vertice nell’Oceano per salire, allargandosi gradatamente, verso il “bordo” dominato dalle colline, dove gli edifici lasciano più spazio alla natura circostante. Il testimone passa poi a Michele Pierpaoli, che introduce la figura di Sant’Elia ripercorrendone brevemente la vita. La sua genialità è stata quella di rivoluzionare i tradizionali vocabolari architettonici, abbandonando le tracce classiche e le caratteristiche stilistiche presenti sino a fine ottocento, ben espressa nei disegni esposti nella mostra “Nuove tendenze” del 1914. Nessuna delle opere immaginate è stata poi eseguita (Il Monumento ai Caduti fu realizzato da Terragni nel ’33, da un disegno di una centrale elettrica) e questo lo proietta in un immaginario forse ancor più adatto a sopravvivere nel futuro. Il percorso espositivo di questa mostra testimonia quanto Sant’Elia sia presente, con le sue rivoluzionarie intuizioni, nei tentativi degli anni successivi di ripensare al concetto di Città, ripartendo praticamente da zero – la rottura con la tradizione è drastica -, spesso senza nessuna concessione agli spazi urbani preesistenti. Visitando la prima sala, dove sono esposte appunto le opere del 1914, Michele ci fa osservare quanta maestria – anche tecnica - ci sia nei disegni, che “inventano” raffinate forme non certo suggerite dall’istruzione accademica: l’uso dei piani inclinati e delle gradinate, le suggestioni suggerite dagli inchiostri colorati utilizzati, le strade su più livelli, gli ascensori e la stazione dove i treni si interscambiano con gli aerei. In due successive sale ci sono i modelli di “città ideali” di due famosi architetti: Le Courbusier e Wright. Il primo ipotizza una “Città contemporanea per tre milioni di abitanti”: le nuove costruzioni del quartiere centrale, che si sviluppano in altezza e potranno ospitare un milione di abitanti, trovano posto su un’area “liberata” dai precedenti edifici, adiacente alla Senna; gli altri due milioni risiederanno nella Citta-giardino circostante. Per stessa ammissione di Le Corbusier il progetto è una surreale congiunzione di due entità apparentemente inconciliabili: New York e il paesaggio svizzero. Wright ha invece a disposizione gli spazi infiniti dell’America; la sua “Broadacre city” è una sorta di rifiuto della grande città: piccoli edifici bassi, poche le eccezioni, con molto terreno attorno (secondo l’idea di Wright almeno un acro), collegati da strade che prevedono l’uso generalizzato dell’automobile. Una curiosa installazione (di Yona Friedman) di scatole di cartone, che rimanda alle distruzioni della seconda guerra mondiale, è alla base di altre scatole appoggiate sopra un’impalcatura: è una città che si sviluppa sopra le macerie. Nella sala successiva è rappresentata la città visionaria di Archigram, un gruppo di architetti inglesi: una mega-struttura urbana in movimento, con costruzioni a cono rovesciato e strane “astronavi” che restano sospese nell’aria. La rivoluzione sessantottina mette poi in discussione la sopravvivenza stessa della città e ne abbiamo testimonianza con i fiorentini Archizoom e Superstudio. Raffinati i disegni dei primi, vere e proprie opere concettuali; curiosa l’installazione di Superstudio, che riempie un’intera sala con realizzazioni (“Istogrammi di architettura”) in truciolare serigrafato a quadretti. Alle pareti la rappresentazione dell’idea di “inscatolare” i frammenti della memoria collettiva e della tradizione classica in forme geometriche semplici, non per questo meno suggestive. Il video di Cao Fei è proiettato ininterrottamente nel Teatrino, mentre la città volante di Casrsten Holler sovrasta la prima parte di “Pizza City”, che riempirà poi l’ultima sala. Proprio l’opera di Carsten ci rimanda a Sant’Elia, perché è stata realizzata – in vetro – su disegno di un tesista russo nel 1928, che dichiarò di aver lavorato alla sua metropoli volante per quindici anni (quindi a partire dal 1914). Una mostra forse non facile, che ha però destato in noi grande interesse; merito anche delle nostre due guide, che hanno saputo farci “sintonizzare” su linguaggi artistici non consueti, almeno per Villa Olmo. Serata conclusa, come da tradizione, al Tennis. Oltre a Giuliano e Michele, i ringraziamenti vanno anche a Giulio Pini, che ha organizzato la cena.
Angela Corengia
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