Il "beato maiale" in tavola
06 Feb 2013
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CONVIVIALE DEL 6 FEBBRAIO 2013
La cena a casa Schiavetti con relazione di Enzo Pomentale
Nell'immagine: Attilio Schiavetti, Giacomo Colombo e Enzo Pomentale


- Serata a Casa Schiavetti – Relazione di Enzo Pomentale: “il beato maiale”.

L’unico modo perché Attilio Schiavetti partecipi a una conviviale serale è tenerla da lui: Giacomo quindi ha autoinvitato il Club a casa Schiavetti, sicuro che la ben nota ospitalità di Simonetta e Attilio non sarebbe venuta meno. Così è stato, ma sono andati ben oltre: per noi “hanno ammazzato il maiale”; quindi, unendo l’utile al dilettevole (cioè la cultura e la pancia, decidete voi cosa sia più necessario), abbiamo chiesto a Enzo Pomentale di tenerci una relazione.
Il nostro Enzo ha in realtà scritto un piccolo trattato di una quarantina di pagine, che ci ha risparmiato solo perché aveva problemi di voce. Scherzi a parte, è sempre piacevole ascoltarlo, anche se i profumi che provenivano dalla cucina ci hanno un po’ distratto.
Vale quindi la pena che si riportino testualmente brani della dotta ricerca di Enzo, che ha esordito facendo rilevare che “il beato maiale” – titolo della conviviale – non è lui ma il vero e proprio “PORCO”. Ecco qua:

“La morte del maiale (dimentichiamo, ovviamente, l’uccisione in catena di montaggio praticata dall’industria moderna) è sempre stata un rito ed il nostro amico è sempre stato sacrificato, non semplicemente ammazzato.
Rammenterete che nella mitologia le sette ninfe figlie di Atlante vennero trasformate da Zeus nella costellazione delle Pleiadi. La minore, Maia, madre di Hermes, rappresentava per i Greci e per i Romani il principio che fa rinascere la vita primaverile dopo lo spento periodo invernale. I Romani durante le calende di maggio le sacrificavano tutti gli anni e devotamente una scrofa gravida: l’animale sacrificato e dedicato a Maia, il nostro Maiale!
Vediamo quindi che la denominazione più usata per il nostro amico, in realtà deriva dalla religiosità romana, da un sacrificio.
Ma il nostro maiale più correttamente dovrebbe chiamarsi suino (sus scrofa domesticus).
O porco.
Il maschio, se non castrato nell’infanzia, si chiama verro e la femmina (se non castrata) scrofa o troia (termine questo stranamente considerato più volgare).
Torniamo al maiale,  animale sacrificale simbolo di rinascita e di benessere.
Anche i Fenici ed i Babilonesi sacrificavano i maiali (che allora avevano altro nome, ovviamente) ai loro dei. Per questo, pare, Mosé vietò agli Ebrei il consumo di carne di porco: impedire il contatto con l’animale immondo ed il consumo delle sue carni, infatti, ne avrebbe evitato il sacrificio in attività idolatre…
Tornando al rito e volando fino all’epoca moderna, l’uccisione del maiale è restata un sacrificio quasi rituale.”..
..“La domesticazione e l’allevamento hanno origini antichissime: le risultanze archeologiche più remote (fra l’8000 ed il 5000 a.C.) si concentrano nel Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale: Palestina, Irak, Turchia, Grecia, molti paesi attualmente islamici, quindi.
Le tracce scavate in un sito dei monti Taurus (attuale Turchia), le più antiche, mostrano che l’allevamento del maiale precede la coltivazione di grano ed orzo, sfatando così molte radicate credenze relative all’uomo agricoltore precedente quello allevatore; ciò, inoltre permetterebbe di porre il maiale sul podio dei più antichi “amici dell’uomo”, unitamente al cane ed al cavallo.
Ovviamente in epoca pressoché coeva iniziava l’allevamento anche in Asia Meridonale, Cina.
Eviterò la descrizione fisica del nostro amico, salvo per sfatare alcune convinzioni
 - non è rosa: esistono maiali neri o pezzati in vario modo. Il maiale rosa altro non è che frutto di selezioni con maiali di provenienza anglosassone, con pelle depigmentata, primo fra tutti i Large White;
•    non è glabro ma più o meno setoloso, fino ad essere addirittura dotato di pelliccia come il maiale lanoso;
-    non è necessariamente “lardoso”. Il quantitativo di grasso è dato sia dalle modalità di allevamento che dalle necessità alimentari del periodo (attualmente in Europa vengono a consumo fra i 100 ed i 180 kg), dimenticando i dolci maialetti;
-    non ama lo sporco, ama l’acqua ed il fango, ove si rotola per motivi igienici.
Tuttavia è onnivoro e insaziabile, a volte (sempre, un tempo) viene nutrito anche di rifiuti di ogni genere (ivi compresi le deiezioni umane in Asia) che trasforma rapidamente in grasso e carne. Da ciò l’immagine del maiale sporco, “porco;”
-    non è di buon carattere (evidentemente il nonno cinghiale è ancora presente). Dimenticate il maialino Babe e ricordate piuttosto il Porco di Orwell nella “Fattoria degli animali”, quel Napoleone che richiamava la figura di Stalin. E’ un animale dotato di forte dentatura tanto che spesso è necessario ridurre ed asportare i canini nei maschi ed a volte è aggressivo in modo imprevedibile (famosa l’aggressività della scrofa in presenza dei piccoli).
Tornando al nostro commensale di stasera, molte e di varia natura sono le ragioni dalla nostra amicizia col porco. Prima fra tutte: è una rapida e perfetta fabbrica di carne, grasso, e altri prodotti utili all’uomo. E poi: del maiale non si butta nulla, recita un antico proverbio.”..
…“Chi non rammenta che Odisseo, tornato ad Itaca dopo venti anni venne riconosciuto dal cane Argo (uno dei due animali del podio, quindi); pochi ricordano Eumeo (“il glorioso porcaio” lo chiama Omero) che dopo aver fedelmente atteso il sovrano collaborerà unitamente a Telemaco nella impari lotta contro i Proci.”
..“Nella Grecia classica il maiale aveva grande rilevanza economica ed alimentare. Esso era la principale fonte di carne ad Atene, le cui aride campagne non permettevano un redditizio allevamento di bovini.
Anche gli Etruschi e i Romani lo apprezzavano grandemente tanto che il suo consumo dovette essere regolamentato nella Roma imperiale, che importava moltissimi animali dalle campagne. Fra tutti ricordo l’editto di Severo per impedire la macellazione di scrofe allattanti e di lattonzoli.”…
..”Una curiosità: nella Gallia si preparavano “succidias optimas” che arrivavano regolarmente a rifornire i mercati romani. Fra esse, particolarmente apprezzate erano le “pernae comacinae”, prosciutti crudi, quindi, provenienti dalle nostre campagne.”…
..”I Romani erano romani anche allora: il loro tipico esibizionismo e la voglia di stupire colpirono anche il povero maiale, inteso come alimento. Secondo Plinio, il primo Romano che portò in tavola un maiale intero arrosto (si noti, venivano consumati maiali di circa tre anni) fu Publio Servilio Rullo, Tribuno della plebe nel I° secolo a.C. Ovviamente, come tutte le burinate di grandissimo costo, la trovata ebbe un grande seguito, tanto da dover essere proibita da una lex suntuaria, vista la spesa eccessiva necessaria per la realizzazione del piatto. Possiamo comprendere il motivo della norma limitatrice soltanto se rammenteremo che il “porcus troianus” (così veniva denominata la preparazione proibita) era arrostito intero, ripieno di beccafichi ed altri uccelli. Completavano il ripieno vulve di scrofa, uova, teste di agnello e capretto, tagli vari di carne di maiale.”..
..“Nel Medioevo, il maiale era la principale fonte di nutrimento animale.
Rammentiamo che la selvaggina nobile era riservata al “padrone” dei boschi: al sovrano, al nobile di turno. La carne di manzo, costosa e non facilmente reperibile (pochi erano i pascoli e l’agricoltura era quasi un mero sostentamento) non poteva rappresentare una fonte primaria neppure per i ricchi. Restava il Porco, allevabile ovunque in quanto onnivoro.
Nelle zone ricche di boschi, quindi, l’allevamento era libero e affidato ai porcari. L’allevamento in branchi, allo stato brado nei boschi, era tanto importante che anche nelle nostre zone la superficie dei boschi era quantificata non tramite unità di misura ma indicando il numero di maiali che potevano trovare nutrimento nella porzione di bosco in oggetto.
Lo “strumento di misura”maiale era tanto radicato che – è documentato – spesso i porcari vennero utilizzati per dirimere importanti vertenze territoriali.
La vita “sana” dei maiali allo stato brado e l’alimentazione naturale portarono ad una selezione tale che gli individui crescevano “snelli”, agili, a siluro, oserei dire. Certamente tutti rammentate l’iconografia caratterizzante il culto di Sant’Antonio Abate, chiamato anche “del porcello” e da non confondere col Santo di Padova. Un porcello piccolo, col muso allungato, spesso nero fasciato di bianco (certo avete presente il maiale di cinta senese!).
Parlando del Santo Abate, all’epoca il maiale non veniva allevato soltanto nei boschi. Onnivoro – e quindi competitore alimentare con l’uomo - era nutrito nella fattoria (specie in stagione invernale) con tutti i residui della campagna e della famiglia.
In zone urbane, ove i residui alimentari e di coltivazione erano ridotti, i maiali venivano lasciati liberi fra le case ove, letteralmente, svolgevano attività di spazzino; tutto veniva divorato dai maiali famelici: residui alimentari, spazzatura, deiezioni umane.
Come potrete immaginare la loro “meritoria” attività fu causa di numerosi incidenti e di mostruose utilizzazioni. Fra tutti rammento il terribile particolare citato dall’Avvocato Papa in una nostra recente conviviale ... un giovane rapito nella nostra zona, del quale non venne mai trovato il corpo, dato in pasto ai maiali per ottenerne la totale sparizione. Questo non è un caso isolato, la perfetta macchina onnivora rappresentata dal maiale è spesso stata usata allo scopo, anche dalla mafia contadina e, in epoca più recente, dai sequestratori Sardi.
Tornando al “maiale spazzino”, gli incidenti urbani furono molteplici: ricordo fra tutti la morte di Filippo, principe ereditario del re Luigi VI il Grosso che nel 1131 morì – a Parigi! - a seguito di una caduta dal cavallo, fatto imbizzarrire da un porco cittadino.
Questi eventi provocarono progressivamente il divieto di lasciare in libertà i porci nelle zone urbane. Gli unici maiali non colpiti dall’interdetto furono quelli degli Antonini, i religiosi che avevano creato e mantenevano gli ospizi dedicati soprattutto ai malati di fuoco di Sant’Antonio."..
..“Veniamo al titolo: “beato maiale”, meglio “fratello porcello”, anche se sfortunato. Penso che il termine possa essere riferito al maiale sia per la beatitudine che arreca al fratello umano sia per quella che ne caratterizzerebbe la vita. Credo che non sia necessario parlare ancora dei piaceri che il nostro amico sa darci: la storia e la nostra esperienza gustativa di questa sera sono più che sufficienti per togliere ogni dubbio sul punto… Beato forse perché rappresenta il catalogo vivente di tutti i piaceri “della carne”, quelli più umani: l’ingordigia, la lussuria. Ingordigia, beh, certamente è ingordo.”..
..”..La lussuria ... ma quale lussuria? Castrato a pochi giorni di vita – sia maschio sia femmina – per permettere un rapido ingrassamento e per evitare che la carne assuma il caratteristico “sapore di verro” non più accettato dalla nostra cucina delicata. Ormai quasi totalmente allevato in spazi ristretti e ucciso, non più sacrificato, prima di raggiungere l’età adulta ...
Beato lui? Beati noi, piuttosto, anche grazie a lui. Il porco, infatti, è soprattutto un animale altruista e generosissimo che ci offre tutto il proprio corpo, senza alcuna riserva, per il nostro uso e, soprattutto, per il nostro piacere.”..
Beato Maiale? Forse ma certamente beati noi, col maiale.”…
(brani tratti dagli appunti di Enzo Pomentale - ndr)

La voce di Enzo s’infievolisce progressivamente, costringendolo a interrompere l’interessante relazione. Non prima di averci dato le “istruzioni per l’uso” su ciò che mangeremo questa sera: insaccati stagionati (1 anno), freschi  (vaniglia,  salamini, salsiccia) e carne, più precisamente arista. Qui si apre un’ulteriore parentesi storica, introdotta da Attilio: “arista” deriva da Ariston, cioè eccellenza, termine usato per la prima volta alla corte dei Medici, durante il Concilio di Firenze fra la Chiesa di Roma e quella Greca. Secondo Enzo, invece, il termine era ampiamente utilizzato in Toscana in epoca ben precedente (fra le fonti una novella di Sacchetti – 1399 - che in due passi parla di arista al forno: vera cultura, ben oltre i trecentosessanta gradi!
Peccato che Enzo non sia riuscito a portare a termine la relazione, perché ci sono altri spunti davvero interessanti. E farne davvero un piccolo trattato (magari anche solo per gli amici, da far girare in rete!)?
Ma il disappunto è rapidamente superato alla vista della tavola, imbandita da ogni ben di dio: salumi freschi e stagionati, lardo, cotechino con un sublime vaniglia, l’arista disossata con maestria dai padroni di casa e – dulcis in fundo davvero – le meravigliose torte di Simonetta (addirittura sei, una diversa dall’altra… uno spettacolo di assoluta bontà!).
Ci si sparpaglia su poltrone e tavolini, si formano gruppetti che di volta in volta mutano per effetto dei frequenti “approvvigionamenti” ai tavoli dei cibi e delle bevande: e qui un’altra parentesi sui vini, semplicemente eccellenti!
Visibilmente soddisfatto il Presidente, anche perché ha preso “più piccioni con una fava”: relazione interessante, ospitalità e “ristorazione” di massimo livello e rafforzamento della coesione tra i soci.
Un enorme ringraziamento a Simonetta e Attilio, ospiti impagabili e al nostro Enzo, anche se qualcuno – come la sottoscritta – avrebbe preferito continuare a fingere di ignorare la “fratellanza” con il pingue animale: un senso di colpa in più!

Angela Corengia

 

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