Squarci giudiziari nella storia di Como
23 Gen 2013
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CONVIVIALE DEL 23 GENNAIO 2013
L'Avvocato Renato Papa rievoca i processi  che hanno segnato l'attività penale dagli anni sessanta
Nell'immagine: Claudio Bocchietti, l'Avvocato Renato Papa, Giacomo Colombo e Patrizia Dugoni


E’ Claudio Bocchietti a introdure l’Avvocato Renato Papa, soffermandosi, più che sul curriculum – pur corposo – sull’aspetto umano e professionale del relatore, sicuramente tra i più importanti penalisti del Foro di Como. Ne sottolinea la passione nell’assistenza dell’imputato - che non ne fa un complice ma un difensore anche delle istituzioni – e la sua capacità di andare alla ricerca dell’essenza (“reductio ad unum”), oltre che un’etica professionale vissuta secondo il principio kantiano “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Claudio cita al riguardo una dedica che papà Franco gli fece su un Codice che gli regalò per un compleanno: “Il Codice va bene, ma prima la coscienza. Allora sarai onesto..” per rimarcare la grande professionalità di Papa e il suo rigore etico. Davvero una presentazione appassionata.
L’Avvocato Papa esordisce motivando la scelta di parlarci solo di tre grandi processi tenuti in passato a Como, poiché rappresentativi di momenti storici importanti per la nostra comunità.
Il primo vide coinvolto un noto professionista comasco (difeso dall’avvocato Taroni di cui Papa era praticante) e fu il primo processo a Como per reati connessi alle droghe. Velocemente illustra gli antefatti che portarono all’arresto di un medico; era il 1966, lo scandalo in Città fu naturalmente grande, acuito dalla figura di spicco dell’imputato e dalla pressochè totale ignoranza rispetto al reato contestato. L'imputato si dichiarò sempre innocente (la detenzione di stupefacenti era connessa alla sua professione) e la pena non si sarebbe tramutata in detenzione per effetto di condoni. Sotto il profilo giudiziario, quindi, nessuna ripercussione rilevante; è tuttavia l’approccio del medico rispetto alla vicenda che Papa desidera focalizzare, il suo modo di vivere il tutto in maniera lancinante che lo portò poi alla decisione di “sparire” da Como. Papa  ricorda alcuni brani di una  lettera che il medico inviò: “..Lei mi comunica che non è assolutamente il caso che io faccia il fuggiasco perché posso benissimo rientrare a Como e continuare la mia professione di medico. La ringrazio, ma il mio senso dell’onore e del rispetto verso gli altri mi impedisce questa scelta. Non potrei più uscire di casa, non potrei più guardare, a testa alta, nemmeno il più disonesto degli uomini…” La reazione di allora oggi è impensabile, nemmeno di fronte a reati ben più gravi.
Il secondo processo riguarda l’epoca dei sequestri, che dal 1973 al 1982 costituirono una delle fonti principali per la criminalità organizzata, poi abbandonati non tanto per l’abilità investigativa che andava quasi sempre a colpire i responsabili, ma perché era violata una delle regole fondamentali del reato per il rischioso contatto  - a volte prolungato - con la vittima. Como ebbe all’epoca un primato per l’elevato numero di sequestri perpetrati sul territorio e, conseguentemente, per i processi che ne seguirono. Anche questo era un fenomeno sostanzialmente sconosciuto, che colpì la Città per l’efferatezza del crimine e fece vivere un clima di terrore nelle famiglie considerate “benestanti”. Papa, che seguì praticamente tutti i processi,  ricorda quello che riguardò il sequestro Isella: per il figlio dell’industriale venne pagato il riscatto, ma a nulla servì in quanto venne ucciso e il corpo gettato in una porcilaia. Fu costretto a difendere gli imputati – due siciliani - d’ufficio e anche quando i familiari gli chiesero di diventare legale di parte rifiutò, continuando a farlo gratuitamente. I due soggetti, condannati all’ergastolo, erano persone abiette, eppure uno dei due, nel corso di un colloquio con Papa, gli confidò che aveva scelto di far studiare la figlia a Milano perché “nel nord c’è più moralità”. Papa ricorda poi altri sequestri che ebbero grande risonanza, in particolare quello di Gaby Kissmeier,  più noto per la presunta love-story con uno dei suoi carcerieri che non per le modalità di prigionia disumana della vittima (fu tenuta in una sorta di bara, legata ad una catena, da marzo a ottobre 82, senza possibilità di lavarsi, nutrita con cibi freddi). Il processo all’Anonima valtellinese ebbe, per uno degli imputati, l’aggravante della violenza sessuale ma, su parere dello psicologo nominato dal Tribunale, risultò che tale reato non fu commesso perché la ragazza era innamorata del suo aguzzino. Un commento sulla pericolosità delle perizie psichiatriche nei processi, che portano spesso a giudicare lo stesso soggetto in maniera diametralmente opposta a seconda che si tratti del CTU o del perito di parte (risultati da “cartomanti” è il termine che usa) , scatenerà poi la reazione di Dugoni. 
Salto al 1990 per affrontare un altro “filone” delinquenziale, quello della corruzione e dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel nostro territorio, peraltro non percepita.
Le indagini portarono a identificare oltre un migliaio di persone imputate di estorsioni, corruzioni, omicidi ecc, cui seguirono processi a raffica che scaturirono in condanne solo per un numero più limitato di soggetti, essendo spesso impossibile accertare responsabilità. La punta di un iceberg ben più radicato, che già trent’anni fa controllava la vita economica lombarda; un rapporto dei carabinieri del 1992, che fa parte degli atti del processo “fiori della notte di san Vito”, cita tra l’altro: “  ..il sempre più diffuso capillare e devastante sistema corruttivo nei confronti di soggetti all’interno delle istituzioni e della p.a. del nostro territorio…. I proventi illeciti vengono altresì impiegati per acquistare attività commerciali di “copertura” che operano da “lavaggio” del denaro “sporco” e che, tra l’altro,  svolgono le attività con modalità tale da eliminare la concorrenza delle imprese che lavorano nel rispetto delle regole”. 
Papa ritiene vergognosamente inconcepibile che oggi ci si meravigli ritenendo fenomeno recente la penetrazione capillare della criminalità organizzata nella vita economica e amministrativa, quando già all’epoca si registrava l’evoluzione dei reati, che “uscivano” da quelli consueti. Solo a Como i processi, che si tennero nell’aula bunker realizzata allo scopo (una cattedrale del deserto poi inutilizzata), portarono alla condanna di circa 200 persone, che in gran parte non scontarono le pene a causa dell’improponibile sistema giudiziario.
Purtroppo i meccanismi processuali appaiono inadeguati a combattere il fenomeno; uno dei punti deboli è l’utilizzo improprio dei “pentiti”. Proprio a causa di dichiarazioni di collaboratori di giustizia ritenute veritiere, molti indagati furono sottoposti a inchieste devastanti; le successive archiviazioni non risparmiarono la loro rovina umana e professionale. Queste esperienza amareggiò molto Papa, portandolo a rinunciare alla difesa di quel tipo di reati.
Alla domanda di Minghetti  (“non c’è speranza”?) che apre gli interventi, Papa replica che fin che non ci sarà un corretto processo non si può parlare di giustizia. A Fulvia Bianchi espone il suo pensiero circa le intercettazioni telefoniche: lo strumento investigativo è di per sé efficace, sbagliato è l’abuso, come pure è spesso sbagliato ergere barriere in nome della privacy. La struttura investigativa oggi richiede omogeneità di metodiche a livello europeo, perché ha necessità di adeguarsi con mezzi scientificamente efficienti per fronteggiare quelli sempre più potenti della criminalità.
E’ poi la volta di Dugoni, che rifiuta il termine “cartomante” associato agli psicologi. Papa ribadisce il suo pensiero, che non è assolutamente rivolto alla categoria degli psicologi ma scaturisce da una lunga esperienza processuale: tradirebbe un principio di rigore individuale se oggi smentisse quanto detto. Ritiene non oggettivamente utile - nel processo - l’utilizzo di perizie perché generano risultati incerti, come già detto, a volte diametralmente opposti. 
La campana è suonata da un po’, ma Papa è riuscito a trattenerci con la sua relazione interessante e appassionata. 

Angela Corengia

 

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