La tavola di Vipasca e le miniere del Comasco, della Sardegna e della Toscana
28 Gen 2009
lazzarini

CONVIVIALE DEL 28 GENNAIO 2009
Sergio Lazzarini parla di diritto minerario e non solo

Nell'immagine: Sergio Lazzarini e Giovanni Agterberg


I Politici hanno qualche volta  la salute cagionevole: martedì 27 gennaio il Presidente della Provincia Carioni ha disdetto, prevedendo che il giorno successivo sarebbe stato ammalato, la sua presenza alla conviviale. Panico di Agterberg, che si è trovato ad organizzare in mezza giornata una relazione alternativa. Tra i vari "Soci tappabuchi", peraltro sempre disponibili, ha risposto prontamente il nostro Sergio, soprannominato per l'occasione da Pomentale "buscione" (tappo di origini lombarde), che ci intrattiene su un argomento che solletica la nostra curiosità.
Ci distribuisce, prima di iniziare, un misterioso foglio  (va detto, scarsamente leggibile trattandosi della fotocopia di una tavola del II Secolo) ed alcuni estratti da pubblicazioni - in tedesco, italiano e latino - che  rimandano ad un testo scritto da Lazzarini nel 2001: "Lex metallis dicta. Studi sulla seconda tavola di Vipasca (Minima epigrafica et papyrologica. Supplementa 2)", oggetto anche di convegni internazionali.  Da uno di questi estratti riportiamo:
.."Sergio Lazzarini, che si conferma qui brillantemente studioso del diritto romano, ma anche curioso e competente dell'antico non solo nei localismi della "sua" Como ma anche nell'universo del mondo romano" (Antonio Sartori). Noi non avevamo dubbi circa la sua profonda cultura, anche se l'argomento "miniere" ci sembra singolare.
La sua relazione, che  prende spunto dalla misteriosa tavola trovata tra le scorie di una miniera, parte dal Comasco, dove - precisamente in Val Cavargna - si sviluppò (nei secoli XVIII- XIX) un'attività di estrazione del ferro e di siderurgia  testimoniata da resti di  gallerie, cunicoli di miniera, fornaci all'aperto ed edifici ad essa collegati. La rilevanza di questi luoghi potrebbe essere "sfruttata" sotto il profilo turistico, così come fanno altri due grandi centri minerari - Iglesias e Massa Marittima - che, attraverso Consorzi costituiti allo scopo, valorizzano i siti dismessi.
Ad Iglesias sono visitabili le miniere, le cui gallerie scendono sino a 300 metri sotto il livello del mare. Qui si trova anche una grotta, più precisamente un grande geode, di rilevante valore scientifico, con splendide stalattiti e stalagmiti, un laghetto ed un'acustica perfetta.
Analogamente a Massa Marittima è stato istituito il Parco delle Miniere, che contrariamente a quelle di Iglesias sono a cielo aperto, per salvaguardare il ricco patrimonio di conoscenze e di strutture legate all'attività mineraria, protrattasi ininterrottamente dalla Preistoria sino a poco più di un decennio fa.
Sergio passa poi a svelarci il mistero dell'epigrafe di cui abbiamo la copia: si tratta di una metà - la parte destra -  di una epistula, trascritta su tavola bronzea,  ritrovata tra le scorie della miniera di Vipasca, nell'interno dell'Alentejo lusitano che si trovava ai margini dell'Impero romano. Contiene le istruzioni impartite dal Responsabile minerario lusitano ad un sottoposto operativo di Vipasca. Le miniere della zona venivano gestite direttamente dallo Stato attraverso "concessioni" di un massimo di cinque pozzi a piccoli imprenditori (che potevano essere schiavi affrancati); questi corrispondevano all'inizio una cifra per poter effettuare le ricerche e, trovato poi il filone, il rapporto si tramutava in colonìa parziale, con il 50% del ricavato allo Stato ed il resto all'imprenditore. Il coordinatore era il Responsabile delle Finanze della Provincia, rappresentato in loco da un Procuratore, di solito un liberto imperiale affrancato per particolari meriti. A sua volta quest'ultimo controllava l'operato del suo superiore, rimanendo anche in carica per un periodo maggiore al fine di garantire la corretta applicazione delle norme.  Il meccanismo "svelato" con l'interpretazione dalla tavola era molto sofisticato: si regolavano gli aspetti di ripartizione degli utili e delle imposte, la repressione delle violazioni che potevano essere contestate anche grazie a delazioni (ai delatori era concesso un premio pari ad un quarto del confiscato), gli orari di lavoro, che potevano essere anche di 24 ore ma con la possibilità di portare il materiale in superficie solo dall'alba al tramonto, per  poter consentire i dovuti controlli. Ancora: venivano tutelati gli interessi della miniera - e sanzionate le violazioni - con le regole generali di drenaggio, le distanze da rispettare per i cunicoli e le gallerie, la sicurezza del lavoro non tanto per chi vi operava quanto per salvaguardare l'integrità della miniera nel suo complesso. In sintesi, dalla tavola emerge uno spaccato -  se pur parziale -  delle discipline che nel primo Impero interessavano le miniere di rame ed argento.
Articolata, ma rapida e chiara come sempre, l'esposizione di Sergio, il quale chiarisce al primo degli intervenuti, Antonio Luchini, che l'epoca cui viene fatta risalire l'epigrafe (117/138 d.C.) è ricavata dalla citazione, nel testo, dell'Imperatore Adriano vigente. Antonio poi testimonia il grande interesse del sito di Iglesias, in particolare la suggestione del rarissimo geode, che racchiude tra l'altro cristalli di solfato di bario.
Campisani sottolinea come lo Stato, nel periodo imperiale,  amministrasse con assoluta modernità e ritiene interessante che si tenga una relazione al riguardo.
Alla nostra ospite Elisabetta Broli Sallusti Sergio chiarisce che non si hanno notizie di incidenti nelle miniere; Luchini precisa che non vi era, all'epoca, il rischio di crolli conseguenti alle esplosioni di grisou, non essendovi metano.
Renzo Gorini prende spunto dalla relazione per trarne alcune considerazioni: già all'epoca la "pressione fiscale" dello Stato (50%) era elevata, ma con una sostanziale differenza, essendo un provento sul ricavato. Interessante ed efficace poi il meccanismo di controllo attraverso una "bilancia dei poteri", per cui  il controllato era messo in grado di controllare il controllante. Sergio conferma che questa forma di "partecipazione" dello Stato rinvia ad altre fonti del Diritto romano che trattano di partecipazioni e controlli, poi richiamate nelle norme che regoleranno il patrimonio del suolo e del sottosuolo. Tali fonti del diritto minerario sono il fondamento della normativa vigente per l'utilizzo del sottosuolo.
A Fulvia Longo, che equipara i delatori ai collaboratori di giustizia attuali, Sergio risponde con una battuta: l'antico delatore aveva certezza di cosa avrebbe ricevuto, oggi invece..
Conclude Gandolfi con una riflessione: da tutte queste norme non emerge la tutela del diritto alla vita, che arriverà molto più tardi, dopo i gravi incidenti nelle miniere europee che fecero delle vere e proprie stragi.
Grazie Sergio! Il termine "buscione" è riduttivo (ed invito Enzo a rivederlo), perché hai dato la stura ad una grande ed interessante quantità di cultura e conoscenza.

Angela Corengia

 

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