La grande guerra: per non dimenticare
04 Nov 2009

CONVIVIALE DEL 4 NOVEMBRE 2009
La relazione di Gianluca Botto nell'anniversario della vittoria

Raramente una conviviale riesce a ricordare un evento nello stesso giorno in cui ne ricorre l'anniversario. Gianluca Botto lo fa con la sua relazione:  il quattro novembre 1918 si concludeva la Prima Guerra Mondiale, che segnava la sconfitta e la conseguente scomparsa dell'impero Austro-Ungarico; quello che ci racconta è un pezzetto di questa tragica guerra visto attraverso due personaggi - un Austriaco e un Italiano - ed i luoghi che li videro combattenti.

Le immagini ci rimandano a paesaggi fantastici, le Dolomiti delle Cime di Lavaredo, uno dei tanti fronti dove Italiani ed Austriaci si  fronteggiavano per conquistare metri di territorio. La guerra era combattuta dai residenti, che difendevano il loro monti, i loro villaggi, le loro case: Sepp Innerkofler era una guida austriaca che gestiva il rifugio Locatelli, arroccato appunto sotto le cime dolomitiche. Aveva passato anni ad accompagnare nobili turisti tra le montagne, prima di presidiare le postazioni austriache che fronteggiavano il Monte Paterno, occupato dagli italiani. L'esercito di questi ultimi era formato in prevalenza da Valdostani, provetti alpinisti, che si contrapponevano agli Ampezzani e Tirolesi della compagine austriaca. Sotto il lato sud del Monte Paterno i soldati italiani del genio avevano scavato ampie gallerie per raggiungere la vetta. Sull'altro lato le gallerie degli austriaci, che dovevano difendere, erano strette, quasi solo vie di fuga; pochi uomini riuscivano a presidiare il territorio, facendo partire colpi di fucile da più parti per far pensare ad un grosso presidio. Con un'azione a sorpresa Sepp Innerkofler guidò una pattuglia, una mattina di luglio del 1915,  avvicinandosi in assoluto silenzio alla vetta per conquistarla. E proprio in questa occasione fu ucciso, forse da un Alpino Italiano che difendeva la vetta del monte o, più verisimilmente, da tiri mal direzionati dell'artiglieria austriaca.
Il secondo personaggio è italiano, Italo Lunelli, irridentista trentino che si arruola volontario negli Alpini sotto il falso nome di Raffaele Del Basso. La zona in cui combatte è quella della Val Pusteria: qui occupa preventivamente la Cima 11, alla testa di un plotone da lui addestrato, per poter poi sferrare un attacco per la conquista del pianoro sovrastante il Passo della Sentinella, obbligando gli Austriaci alla resa. Tutto questo dopo aver attrezzato una via di roccia lavorando di notte (da dicembre ad aprile rivestiti da camici bianchi per confondersi nel paesaggio) e portando a valle i detriti negli zaini, senza che i nemici, appostati a non più di trecento metri, si accorgessero di nulla. Le condizioni in cui gli Alpini operavano erano proibitive, se si considera l'equipaggiamento (corde di canapa spesso gelate e zaini pesanti) e l'abbigliamento: a 3000 metri, con temperature che d'inverno raggiungevano i -40°, dovevano scalare pareti di 3° e 4° grado.
In questo scontro i soldati erano prima di tutto Alpinisti ed avevano conservato il rispetto per l'altro della gente di montagna. Numerosi gli episodi di "cavalleria": scambio di cibo, regali, sospensione degli attacchi per consentire il recupero dei feriti. La loro guerra aveva l'unico scopo di mantenere le posizioni, i loro nemici, prima ancora che le pallottole dell'avversario, erano il freddo e le intemperie. Una "vittoria ai punti" degli Italiani, secondo Botto, quasi più un suicidio degli Austriaci, che forse non richiede festeggiamenti, considerate le numerose vittime lasciate sul campo. Luoghi ormai restituiti definitivamente alla natura, che serbano tracce di questa guerra nelle loro viscere (le gallerie) o nei cimiteri a valle; pochi i turisti che ne conoscono la storia.
E' poi Camillo Vittani a ricordare la ferita profonda lasciata dal conflitto: nel nostro Monumento ai Caduti ben settecento sono i nomi incisi di soldati comaschi della prima guerra, quasi tutti della stessa età, di cui il 10% costituito da Tenenti e Sottotenenti e tra loro Antonio Sant'Elia e Giuseppe Sinigaglia. Pomentale chiarisce poi il motivo dell'alta percentuale di caduti tra gli Ufficiali: costoro - sino al 1917 - dovevano guidare gli assalti con la sciabola ed erano quindi tra i primi a cadere sotto il fuoco nemico.
A Gandolfi, che chiede un commento sulla figura del Generale Cadorna, Botto chiarisce come negli intenti iniziali il fronte avrebbe dovuto essere sull'Isonzo, una via più facile per sfondare rispetto alle Dolomiti. Spostatosi il fronte verso il Brennero, Cadorna colpevolizzò il generale Nava di aver atteso troppo per quello che avrebbe dovuto essere un trasferimento veloce al di là delle montagne, consentendo agli Austriaci di rinforzare i presidi, mantenuti da pochi soldati, con truppe fresche e  linee difensive ben organizzate. E' probabile quindi che Cadorna avesse impostato l'attacco in maniera corretta e che il temporeggiare di suoi Generali l'abbia vanificato.
Un frammento di storia che avevamo dimenticato, ma soprattutto il "lato B" di questa guerra: quella fatta di persone che avrebbero potuto affrontare la scalata delle montagne assieme e del tempo passato ad attendere, più che a combattere.

 

Angela Corengia

 

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