SUPERARE LE DIFFICOLTA' DI LINGUAGGIO
20 Gen 2010

CONVIVIALE DEL 20 GENNAIO 2010
Il colore della parole secondo il dottor Kossi A. Komla-Ebri

Le Signore che lo cercano all'ospedale Fatebenefratelli di Erba, non ricordando il nome, spesso chedono di quel medico.. "negrettino". La definizione "politically correct" non corrisponde alla figura paciosa del dottor Kossi Komla Ebri, 48 anni appena compiuti, laureato in chirurgia generale e specializzato in coagulazione al laboratorio del suddetto nosocomio: la sua mole infatti non è indifferente. Al bavero ha la Paul Harris che la Rotary Foundation gli ha conferito per avere curato, insieme con il medico-itinerante Aldo Lo Curto e con il disegnatore brasiliano Ubiratan Porto, "Afrique. La santé en images", un manuale - tradotto anche in Inglese - pubblicato col contributo del Rotary Club di Lugano Lago e della Fondazione Rotary. Kossi è quindi molto legato al Rotary, che ha distribuito gratuitamente ed in maniera capillare in moltissime zone africane questo testo per l'educazione sanitaria.
"In principio era il verbo" è l'esordio della sua relazione, rigorosamente nel tema "Campisano" del linguaggio. La parola caratterizza l'uomo da tutti gli altri esseri viventi del pianeta e la sua evoluzione ha portato alla scrittura. In molti villaggi africani, tuttavia, la conoscenza è trasmessa ancora oralmente: un vecchio è un patrimonio perché sa molto, quando muore se ne va un pezzo di cultura. Tra le usanze africane c'è quella di lavarsi la bocca la mattina, prima di parlare, o quella di non dire una parola prima di chiedere in sposa una ragazza al padre. Perché la parola è sacra, ha un valore molto forte ed è l'unica ricchezza di chi non ha nulla. Non è così nel mondo "civilizzato", dove frequentemente non si da alcun valore a ciò che si dice e ancor meno si è disposti ad ascoltare.
Kossi è in Italia dal 1974, ne conosce perfettamente la cultura, ama i suoi scrittori e artisti, ha sposato un'Italiana, parla persino il dialetto comasco, ma è ancora considerato un extra-comunitario. Adora, in particolare, la nostra lingua perché è ricca, musicale (stuz-zi-ca-den-ti è per Kossi un termine affascinante) ed è accompagnata con una gestualità fantasiosa. Numerosi e divertenti gli aneddoti delle sue esperienze nel nostro paese: non scelse la specializzazione in ginecologia perché lo sconsigliarono (avrebbe spaventato le signore), sul treno si siedono lontano da lui (meglio, secondo la figlia, c'è più spazio), addirittura un signore gli diede lezioni di italiano: "..vieni dal Togo.. da noi si dice Con-go..", parlando con monosillabi e verbi declinati all'infinito malgrado Kossi si esprimesse in un italiano invidiabile. O ancora, al parcheggio del supermercato, gli consegnano il carrello da riportare, per consentirgli di recuperare l'euro.
Le parole celano un immaginario senza fine, non sono neutre ma colorate. Dire "sporco negro" non è come dire "negro sporco" o il "negraccio" affettuoso con cui la moglie spesso si rivolge a lui non equivale al "nero" dei razzisti incalliti. Il linguaggio va decostruito, attribuendo alle parole il significato che hanno prima che vengano associate all'immaginario. In Ospedale Kossi è un medico, perché ha un camice che lo identifica e gli attribuisce potere; fuori - dove prevale l'apparenza - è solo un extra-comunitario. E' tutto relativo: l'Italia, per i Francesi, è considerata "terzo mondo" dell'Europa e quando Kossi, per la prima,  vi arrivò da Parigi portò con sé questo pregiudizio. Purtroppo la Società giudica ciò che vede e il "diverso" mette in crisi perché propone linguaggi ed interpretazioni fuori dalla norma. I media contribuiscono ad allargare queste fratture con le loro "cattive notizie": una "persona uccisa da un'auto" (nel caso l'investitore sia italiano) diventa "rumeno uccide con l'auto", come se il reato non  fosse il medesimo.
Le barriere comunicative esistono anche tra persone di analoga cultura e colore della pelle, basta pensare a quando ci troviamo in ascensore con altri e fingiamo di guardare altrove per non scambiare sguardi imbarazzati. "Chattare" - che è un modo di comunicare sempre più frequente -diventa "barriera" tra noi e gli altri quando decidiamo di essere quello che non siamo o  interrompiamo improvvisamente il dialogo con un clic. E ancora, il linguaggio tecnico di un medico, per esempio, è il più delle volte incomprensibile per il paziente; ecco quindi la necessità di adeguare il nostro linguaggio a chi ci ascolta. 
Kossi forse si toglie anche un sassolino dalla scarpa: quando in Italia si fanno battaglie per paura di perdere la propria identità, nessuno pensa che - da Bolzano a Trapani - sono poche le caratteristiche che accomunano gli Italiani: origini - quindi imprinting culturali - differenti, una miriade di dialetti incomprensibili persino agli abitanti della Povincia vicina, usanze e stili di vita diversi, spesso dettati dal clima che passa dal gelo delle Alpi al caldo africano della Sicilia. L'identità si forma e si trasforma in conseguenza del rapporto con gli altri, dove "altro" è per distinguersi (uomo-donna, biondo-bruno, Italiano-Africano ecc.) ma non nuoce; pur salvaguardando le differenze si può scoprire che sono più le cose che accomunano - e fanno quindi "crescere", che quelle che dividono. Cita l'esempio, di Schopenhauer, dei porcospini che per combattere il freddo cercano di avvicinarsi ma si pungono, sino a che trovano un perfetto equilibrio che consente loro di stare caldi senza infastidirsi; o quella del cacciatore che, tendendo l'arco, vuole accorciare la distanza per una mira migliore e, così facendo, scopre che la "preda" è una persona, addirittura il fratello.
Tornando al linguaggio, quindi, è necessario ridare il valore giusto alle parole, senza brandirle come arma per offendere e dando rilievo a quelle che possono combattere l'ignoranza: "a" come accoglienza, "d" come doveri ma anche come diritti…
La "parola" ai Soci, con il ringraziamento all'Amico Kossi (perché "l'Amico è colui che ci fornisce notizie di noi stessi") di Campisani, che chiama per primo in causa il nostro Socio onorario Sala. "La parola è creazione" conferma Antonio, "ma è anche un mezzo potente per ferire". E' l'uomo che ha dato - dopo il Creatore - vita al mondo dando il nome alle cose ed agli esseri viventi per poterli distinguere. La diversità è una ricchezza e va accettata e coltivata: Kossi è uno di noi perché c'è stata apertura reciproca e disponibilità al dialogo; la difficoltà sorge quando qualcuno si "arrocca". 
Dopo un'osservazione di Fulvia Bianchi (più rivolta al consorte presente, riteniamo, in quanto ha citato un cartello che ha esposto nella sua cucina con la scritta "Se vuoi vivere bene devi imparare a rispondere"), Bruno Carli Moretti fa osservare che le parole esprimono un concetto che si è formato prima di parlare, quindi sembrerebbe impossibile pensare di "decostruire" il linguaggio togliendo quei significati che in realtà siamo noi stessi ad attribuire. Kossi condivide sostanzialmente la considerazione, ma rileva che quando impariamo a parlare non esprimiamo ancora dei concetti, che arrivano dopo e creano quell'immaginario che poi condiziona il modo di esprimerci. I bambini, infatti, non vedono il diverso, perché per loro tutto è nuovo e quindi differente. La conclusione di Kossi è ancora piena di ironia: "Siamo cresciuti  con il pulcino Calimero che si lagnava perché nero. Ora potremmo dire: "per fortuna eri solo sporco, ti è andata bene!".
Una serata molto simpatica, con i Soci divertiti dalle battute dell'Afro-Brianzolo Dottore, che forse non riesce a vedere i propri piedi per via di una pancia prominente  (è un'osservazione sua), ma che riesce a guardare ben oltre la diversità e a distinguere "il colore delle parole".

Angela Corengia

 

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