Il nuovo libro di Giuseppe Guin: L'amore imperdonabile
03 Mar 2010

CONVIVIALE DEL 3 MARZO 2010

La presentazione di due nuovi Soci e dell'ultimo libro del giornalista

E' ormai tradizione che Guin venga a parlarci dei suoi nuovi libri, dopo "Qui non succede niente" di qualche anno fa. Prima però la presentazione di due nuovi Soci: Mario Barbarini e Andrea Tieghi, di cui riportiamo il curriculum su questo bollettino. Il Dottor Mario Barbarini è presentato da Alfredo Caminiti, che sottolinea - oltre alla carriera medica che ha portato l'amico ad essere Primario del Reparto di Terapia intensiva neonatale del Sant'Anna - la grande umanità e disponibilità; è - tra l'altro - membro dell'Associazione nazionale Medici di Lourdes.

L'altro Socio, il Dottor Andrea Tieghi, è introdotto da Franco Brenna come "figlio d'arte", anche se - precisa - non raccomandato. Franco lo descrive come un "simpatico birichino" e ne evidenzia l'entusiasmo e la grande capacità di essere propositivo e concreto: attualmente è A.d. di alcune Società del gruppo Moncler ed è spesso in giro per il mondo. Dopo la "spillatura", che presenta sempre per i Presidenti qualche difficoltà (e per Tieghi è soprattutto l'altezza), è la volta di Guin, che ci ricorda come nel 2002, praticamente quasi all'apice della carriera giornalistica (capo-cronista della cronaca cittadina de "La provincia") decise di cambiare modo di vivere, abbandonando frenesia e forse incarichi prestigiosi  per rifugiarsi - almeno un paio di giorni la settimana - in una casa isolata sul lago. La scelta ha comportato senza dubbio rinunce, ma gli ha consentito di vivere un mondo autentico, fatto di luoghi dove "non succede niente" e di persone per le quali è "meglio arrivare seconde". Esattamente il contrario di quanto un giornalista deve descrivere normalmente, sempre a caccia - com'è - di notizie che calamitino l'attenzione dei lettori.
Il libro che ci presenta è nato appunto nel suo eremo alla cava in riva al Lago: l'occasione il commento, con il pescatore con cui talvolta condivide le giornate di solitudine, di una notizia riguardante uno stupro. Da qui è partita la rievocazione dell'amico di un analogo fatto di cronaca nera realmente avvenuto sul Lago molti anni fa, che ebbe per sfortunata protagonista Elisa Vanelli. Chi racconta, nel libro, è "il vecchio della cava" - personaggio certamente autobiografico -, cui viene rivelato il segreto e si pone il dilemma di doverlo mantenere. Un "noir" un po' fuori dagli schemi, perché pressoché subito si conosce l'autore dello stupro: la narrazione si svolge invece attraverso il percorso allucinante che il vecchio segue per poter mantenere il segreto. Ci sarà anche un seguito, perché il libro - che ha avuto un successo imprevedibile - lascia nei lettori la curiosità di sapere che fine abbia fatto la protagonista.
E' Capsoni ad aprire gli interventi con un suggerimento (recuperare un vecchio battello da ormeggiare davanti alla casa della cava per farne una sorta di "approdo" culturale) e la richiesta di conoscere i motivi per cui a suo tempo rifiutò di entrare nel Rotary. "Dovevo tagliare la legna nel bosco della cava", è la risposta di Guin, che precisa di non potersi permettere l'acquisto di un battello. Rispondendo ad Ambrosoli chiarisce che ha immaginato che non potessimo condividere le sue scelte in quanto ritiene che i Soci di un Club come il Rotary debbano vivere per "cose grandi"; lui ha avuto la fortuna di potersi permettere di fare un passo indietro.
E' Campisani a sottolineare come - malgrado il suo "nascondersi" - Guin sia comunque arrivato ad una  notorietà che forse non avrebbe avuto con la carriera di giornalista, mentre Brenna ritrova in lui il tema del Lago di Chiara e Vitali. Guin condivide l'osservazione, ritenendo di avere in comune con questi scrittori la stessa passione che lo porta ad ascoltare chi racconta la vita comune e a privilegiare la semplicità dei luoghi, pur nella loro suggestiva bellezza. Rispondendo poi a Roncoroni precisa di non aver avuto problemi, con la famiglia, avendo la moglie accettato (forse come una sorta di liberazione settimanale - osserva Corengia) le sue fughe alla cava.
Longatti è convinto che "il vecchio della cava" non abbia in realtà cambiato vita, ma ripreso semplicemente la strada corretta, perchè "nato scrittore".  Pur essendo un bravo capo-cronista, con nervi d'acciaio e buon rapporto con i collaboratori, Guin ha fatto del suo eremo un alibi per poter raccontare le storie che ha sempre avuto dentro.
Gorini osserva che è un'abitudine ebrea quella di "cambiare vita" attorno ai cinquant'anni, quando si pensa di aver raggiunto ormai gli obiettivi e si sente l'esigenza di rimettersi in gioco: Guin ha spostato il suo traguardo più in là, realizzando in realtà quello che - come pensa Longatti - aveva sempre desiderato. La replica di Guin è per chiarire che non c'è stata frustrazione, alla base della sua scelta, perché gli anni da capo-cronista sono stati interessanti ed il suo ruolo sociale era accattivante: semplicemente si è reso conto che era troppo alto il prezzo che avrebbe dovuto pagare per continuare ed ha preferito fermare la corsa al successo.
Sarà così, ma pensiamo che Guin sia anche una persona fortunata, perché - oltre al coraggio di cambiare - ha anche potuto farlo senza grosse ripercussioni sulla famiglia. Quanto al successo - come ha precisato Campisani - ha fatto solo "un giro un po' più largo.." 

Angela Corengia

 

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