L'Università di Como: un'opportunità o un'altra occasione persa?
16 Feb 2011
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CONVIVIALE DEL 16 FEBBRAIO 2011
Nella relazione di Giulio Casati il ruolo degli Atenei comaschi nel futuro della Città

Nell'immagine: Giulio Casati e Roberto Dotti


A mezzogiorno, prima dell'ora canonica dell'inizio della conviviale, visita alla Segreteria in Via Cavallotti, risistemata con l'aiuto della nuova Segretaria, la Signora Rossella Tondu', che scopriamo essere anche abile nell'organizzare aperitivi. Naturalmente il Presidente ha chiesto aiuto alla sua Silvia, che ha preparato tra l'altro gamberetti e salsa rosa davvero eccellenti. Un bel brindisi prima di raggiungere il Terminus con i ringraziamenti a chi si è dedicato al lavoro di "riqualificazione" .

rotary_baradello_11_segreteApertura con due notizie di grande rilievo: il conferimento dell'Onorificenza pontificia "Dama dell'Ordine di San Silvestro Papa" a Gianna Ratti (vedi articolo in apertura) e la nomina di Dotti ad Assistente del Governatore 2040 per il prossimo triennio. Un applauso sincero a Gianna, sicuramente tra i Soci la più meritatamente ricca di riconoscimenti prestigiosi  ed auguri a Roberto per il nuovo incarico.
E' poi la volta di un altro socio di grande livello, Giulio Casati, per il quale si sono mossi i giornalisti della stampa locale. Riportiamo proprio l'articolo di Lorenzo Morandotti  pubblicato su "Il Corriere di Como", con il titolo
"Università e campus - Grido d'allarme di Casati. Affondo del padre fondatore: gli enti pubblici siano responsabili".
I mille dubbi sulla fattibilità del Campus universitario  al San Martino, cui ha dedicato vent'anni. E le perplessità sul futuro stesso dell'Università a Como.  Un grido d'allarme, quello lanciato ieri all'hotel Terminus dal professor Giulio Casati, docente di Fisica Teorica all'Insubria e tra i padri fondatori dell'università lariana, nella conviviale del Rotary Club "Como Baradello", di cui  è socio onorario. L'insigne fisico ha  tracciato sinteticamente - ma con dovizia di documenti e atti  inoppugnabili - la non sempre gloriosa storia dell'Università a Como, partendo dal "niet" del consiglio comunale alla proposta di ospitare il centro di ricerca Cern che ha fatto la fortuna di Ginevra e finendo con la parità tra Como e Varese nell'unico alveo dell'Insubria, che è solo  sulla carta. Casati ha poi nel corso dell'incontro affondato il dito nella piaga.
"Il Campus al San Martino era pensato per una situazione ottimale: 15mila studenti. Ma ha bisogno di un progetto condiviso". Cosa che invece latita. Al punto che  Casati  si chiede "se questa è una città per giovani o per vecchi", stigmatizzando una Como in cui la fuga di cervelli che non trovano lavoro dopo la laurea è all'ordine del giorno  da tempo.  E poco possono fare iniziative pure molto lodevoli per chi esce da facoltà tecnico-scientifiche come il polo  di Lomazzo allestito dalla Camera di Commercio. L'ateneo comasco è a rischio fondi (il calo del finanziamento medio a progetto è per il "Sole 24 ore" di ieri del 58%) e ha l'aggravante di un forte squilibrio di immatricolazioni con la "gemella" insubrica  Varese: nell'anno  2010-2011   siamo a 660 contro 2.194. Un vero peccato perché le energie spese, specie "negli anni '80 e nei primi anni '90, quando il territorio seppe fare oggettivamente  sistema con uno sforzo corale di energie economiche e forze politiche", valgono per Casati ancora la candela. A patto però che ci sia "unità d'intenti" e ci  si chieda quale modello di università  e di città si vuole. Ecco allora l'appello accorato del fisico agli enti locali, perché "abbandonino le logiche di schieramento e tornino a farsi carico direttamente delle sorti dell'università a Como per affrontarle nella maniera più opportuna, dato che l'ente Univercomo pare non  occuparsene abbastanza".
"Occorre ripensare gli obiettivi e formulare un progetto di rinascita complessiva della città - ha ribadito - in cui l'università sia  motore di sviluppo culturale ed economico, luogo di aggregazione e di identificazione per la creazione di quel senso di appartenenza che è l'unico capace di  stimoli  per il rilancio di una comunità".

Lorenzo Morandotti

Capsoni apre quindi gli interventi ricordando il motivo per cui venne a suo tempo respinta dal Consiglio comunale la proposta di ospitare a Como la sede del Cern (i "comunisti" non volevano il nucleare); relativamente al Campus precisa che la Giunta Botta preferì una diffusione delle Facoltà sul territorio e rispetto a Varese, che gode del sostegno della Lega,  l'Insubria a Como è penalizzata. Gli fa eco Brenna, che sul piano politico rammenta che a Como ha sempre governato il centro-destra: difficile quindi che i soli "comunisti" possano aver causato la rinuncia al Cern. Sta di fatto che Como non ha un polo universitario adeguato, malgrado la presenza di Docenti di livello. Forse solo il Nobel a Casati potrebbe attirare risorse per avere un'Università d'eccellenza, come l'Architetto Botta ha fatto con Mendrisio, perché Varese, che ha un Rettorato forte (reso ancor più determinante sulle decisioni dalla Facoltà di Medicina), da sempre ci prevarica.  Da qui l'esigenza di avere una classe politica finalmente rinnovata, che ritrovi la forza di fare squadra per portare avanti progetti concreti che sfocino nel Campus a San Martino, mirando appunto ad avere il meglio per attrarre studenti dall'Estero, implementando di conseguenza anche  il turismo.
E' poi Terraneo (che faceva parte -  in rappresentanza dell'Unione Industriali - del gruppo di "entusiasti" che diede l'avvio ai Corsi universitari a Como) a dissentire dall'interpretazione di Capsoni che tende a giustificare la classe dirigente; in realtà il giorno dell'inaugurazione dell'Università il Sindaco era presente all'apertura di una macelleria del centro, a dimostrazione che la politica era in qualche modo estranea al progetto.  Ritiene poi che non si sia lavorato a sufficienza sul rapporto Università-Impresa; le decisioni di aprire nuove facoltà non tengono conto delle esigenze del territorio e i corsi sembrano trasmettere ai giovani  il timore di intraprendere attività, anche d'impresa, autonome. " Como non puo' e non deve essere un paese per vecchi", conclude, "abbiamo il dovere di coinvolgere i giovani e garantire loro un futuro di qualità senza dover lasciare l'Italia".
Su quest'ultimo punto non concorda Roncoroni, ritenendo che sia giusto che i neo-laureati vadano all'estero per ampliare le conoscenze,  così come gli stranieri vengono a Como. Condivide invece l'idea che i Docenti debbano anche stimolare verso scelte imprenditoriali, soprattutto considerando l'opportunità che ora offrono il Polo tecnologico e la rete di supporto creata dalla Camera di Commercio. Si aggancia a quest'ultimo discorso l'intervento di Filippo Arcioni, per dare ulteriore credito allo scollamento ricordato da Terraneo tra l'Università e il Territorio: Univercomo non viene consultata quanto si decide per la chiusura o l'apertura dei corsi e nessun Comasco si è dimostrato interessato al Parco scientifico, dove operano soggetti che arrivano da Milano.
E' poi la volta del Professor  Conetti, che lamenta la continua riduzione dei finanziamenti statali a favore delle Università, provocando difficoltà di programmazione e di qualificazione dei corsi.  L'alternativa alla gestione al meglio di risorse limitate non puo' che essere quella di realizzare strutture "attrattive". La facoltà di Scienze, che ha una Docenza di alto livello, necessita di un Collegio universitario che ospiti gli studenti che arrivano da fuori. Brenna fa rilevare a Conetti come le Università private (San Raffaele e Bocconi ad esempio) trovino sempre i fondi per lavorare egregiamente; probabilmente la struttura pubblica deve ripensare alle modalità di finanziamento, per compensare la riduzione di risorse statali, attraverso offerte alternative e maggior coinvolgimento del territorio.  A questa osservazione Conetti replica che la facoltà di Scienze è struttura complessa e molto costosa, che non interessa quindi ai Privati che preferiscono investire su indirizzi più remunerativi. Conferma questa tesi Lazzarini, ricordando - per esempio - che il San Raffaele, con la Facoltà di medicina, gode di convenzioni sanitarie regionali e statali, così come la Bocconi ha alle spalle Confindustria o la Cattolica il Clero.

Un discorso che resta aperto e che merita un dibattito più approfondito; ma - come dice Casati - è la Città che deve rispondere, prima di tutto attraverso le Istituzioni e gli Enti territoriali. Perché questo possa avvenire, forse ha ragione Franco Brenna: bisogna arrabbiarsi e cominciare a chiedere con forza che ciascuno faccia la sua parte.

Angela Corengia

 

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