L'anno della vittoria: il compimento dell'unità
25 Ott 2011
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CONVIVIALE DEL 25 OTTOBRE 2011
Da Caporetto a Vittorio Veneto nei i racconti della famiglia  di Camillo Vittani

nell'immagine: Camillo Vittani e Hedda von Wedel del RC Remagen Sinzing (D)


Riunione alla Trattoria dei Combattenti, dove un’intera parete riproduce la cartina dei fronti e dei luoghi della Grande Guerra.
Dopo un accenno al “compimento dell’Unità” avvenuto nel 1918 con la conquista di Trento e Trieste, e prima di iniziare la relazione, Vittani ci mostra le fotografie, in divisa militare, dei famigliari che vi parteciparono: il padre Franco con i due fratelli Mario e Cesare e gli zii Camillo Nani (morto alla fine del conflitto) e Gaetano Volpatti, caduto in Russia nel 1942.
La storia inizia con il drammatico bollettino di guerra del 28 ottobre 1917, con cui Cadorna, incolpando le truppe di viltà e tradimento, annuncia che il nemico ha sfondato le nostre linee in direzione di Udine: è la ritirata di Caporetto.
Come si arriva a tal punto: il conflitto inizia nel luglio del 1914, dopo l’omicidio di Sarajevo; Germania e Austria-Ungheria contro gli Stati dell’Intesa. L’Italia si dichiara neutrale, inizia la lotta interna tra interventisti e non. Nell’aprile 1915 il Governo si impegna segretamente ad entrare in guerra a fianco di Francia, Inghilterra e Russia in cambio di ampie concessioni territoriali. Il 23 maggio la dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria. Il fronte è lungo 650 chilometri. L’esercito italiano, numericamente superiore, è però impreparato e carente di artiglieria e mitragliatrici.
Le principali battaglie si hanno in Trentino e soprattutto sull’Isonzo. Nel maggio 1916 gli Austriaci lanciano una grande offensiva, la Strafexpedition, dall’Adige al Brenta. Buona parte dell’altipiano di Asiago è occupata. A metà giugno l’attacco è bloccato, e nel giugno 1917 parte la controffensiva italiana. Gli alpini riconquistano l’Ortigara, che viene riperduta sei giorni dopo. La battaglia è sospesa, con gravi perdite e completo insuccesso.
Alla battaglia dell’Ortigara ha il battesimo del fuoco Camillo Nani. Partito volontario l’anno prima a diciotto anni, è aspirante ufficiale in un reparto di riserva, ma chiede di venir assegnato a un battaglione alpino di prima linea. Dopo il combattimento scrive al padre: “sono salvo, ma credetelo, è un miracolo. Io ho avuto paura! Ricordo i momenti nei quali con gli occhi sbarrati, le orecchie tese, con il respiro mozzato, aspettavo che la granata, che la morte passasse. Momenti terribili!”.
Sull’Isonzo, con undici battaglie offensive dal giugno 1915 all’agosto 1917, Cadorna  cerca di sfondare le formidabili difese austriache, per arrivare a Trieste e a Lubiana. Riesce solo a conquistare una striscia di terreno a cavallo del fiume, con perdite enormi e continue. Nell’estate del 1917 la Russia esce dal conflitto. Germania e Austria possono spostare ingenti forze sui fronti francese e italiano. Si prepara una grande offensiva, ma il comando italiano, pur a conoscenza perfino del giorno e del luogo dell’attacco, non prende le contromisure necessarie. Il nostro esercito è materialmente e moralmente scosso, dopo anni di immensi, inutili sacrifici e stragi. Il corpo ufficiali, decimato, è ora soprattutto composto di anziani richiamati e giovanissimi inesperti. Abituate all’offensiva, le truppe – e le postazioni – non sono preparate a una guerra di difesa.
Il 24 ottobre le truppe austro-ungariche, rinforzate da sette divisioni germaniche, attaccano sull’alto Isonzo, convergendo su Caporetto e incontrando solo la pur accanita resistenza di scarse forze. Saltano i collegamenti, il comando italiano è isolato, l’artiglieria non entra in azione, con fulminea avanzata per i fondo valle viene occupata Cividale e il 28 ottobre Udine. A fronte dell’eroico sacrificio di alcuni reparti, il grosso della seconda armata si sbanda e si ritira in disordine.
Cadorna dà l’ordine di ripiegare anche alle armate non impegnate per evitare l’accerchiamento. Così la terza armata sul basso Isonzo e quelle del Cadore e della Carnia devono lasciare le loro linee, imbattute.
Dopo un tentativo di resistenza sul Tagliamento, si ripiega sul Piave. Il 9 novembre tutti i ponti sul fiume sono fatti saltare e il nemico è finalmente fermato.
Nella terza Armata c’è l’aspirante ufficiale Mario Vittani, in una batteria a cavallo di retroguardia. Il reparto è l’ultimo ad attraversare un ponte sul Piave, al galoppo, in assetto da combattimento, tra due ali di sbandati che cercano di sottrarsi alla prigionia. Subito dopo il ponte salta con quanti ancora ci sono sopra, per evitare il passaggio delle prime pattuglie austriache.
Sul Piave la difesa eroicamente resiste, ma la situazione è critica. Nelle mani austriache sono rimasti 265.000 prigionieri, metà dell’artiglieria, 3000 mitragliatrici e tutti i depositi delle retrovie. Gli sbandati al di qua delle linee sono 350.000.
Il nostro governo chiede l’aiuto degli Alleati. Al convegno di Rapallo i vertici francesi e inglesi ci accordano 11 divisioni, ma chiedono la testa di Cadorna, considerato il principale responsabile di Caporetto. Il generale Armando Diaz lo sostituisce, riorganizza l’esercito migliorandone le condizioni, prepara più linee di difesa su tutto il nuovo fronte. Anche il Paese reagisce bene: ora il nemico è in casa e bisogna fermarlo.
Camillo Nani è mandato come interprete presso un reggimento francese nelle retrovie, ma, insofferente di quella vita da “imboscato”, riesce a tornare al fronte. Nel febbraio 1918 è ferito, e viene mandato a Como, al Valduce che funziona come ospedale militare.
Il 15 giugno ha inizio la battaglia del Piave. La situazione in Austria è ormai drammatica, il suo esercito, con tutte le forze, tenta un ultimo attacco. Ma questa volta il nostro esercito è pronto. Il nemico è fermato e ricacciato. È questa la decisiva battaglia d’arresto, che segna la sconfitta avversaria.
Il 24 ottobre, nell’anniversario di Caporetto, Diaz lancia la sua offensiva: è la battaglia di Vittorio Veneto, l’ultima della guerra sul fronte italiano. Dopo una prima accanita resistenza sul Piave e sul Grappa, l’esercito austriaco crolla. Il 3 novembre viene firmato l’armistizio a Villa Giusti, presso Padova, e il 4 cessano le ostilità. È la vittoria e la pace.
All’ultima fase della guerra partecipa anche Camillo Nani. Dimesso dall’ospedale Valduce nel luglio, torna sul Montello al comando di una compagnia di alpini. Alla fine delle ostilità rimane in servizio, vorrebbe continuare gli studi, ma si ammala – per le ferite e le malattie trascurate – e viene ricoverato a Sondalo. Lì muore nell’ottobre 1920, a 22 anni.
Qui termina il racconto di Camillo, ricco di episodi e citazioni. Nella serata sono stati ospiti due coniugi, rotariani di due club di Germania. La signora, che parla un perfetto italiano, nel ringraziare per l’ospitalità quasi si giustifica per esser stati su fronti opposti.
Una serata davvero piacevole ed interessante: bravo Camillo!
 

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