Le "Case del fascio": un'analisi architettonica
18 Apr 2012
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CONVIVIALE DEL 18 APRILE 2012
La relazione di Damiano Cattaneo sulle sedi del Partito nazionale fascista

Nell'immagine: Damiano Cattaneo con Camillo Vittani


Il tema scelto da Damiano, sollecitato dal Presidente a tenere una relazione, solleva – come sostiene esordendo – qualche pudore verso il revisionismo e si affronta con un po’ di difficoltà.  Ma di architettura si parla, non d’altro.
La casa del Fascio rappresenta in Italia una tipologia architettonica distintiva del XX secolo, con caratteristiche del tutto innovative, qualità di livello evoluto e progettisti di grande capacità.
Si tratta delle sedi del Partito nazionale fascista che vengono realizzate in tutta Italia, nelle Colonie e negli Stati esteri dove è forte la presenza di immigrati (Belgio, Brasile, Messico), che sono numericamente moltissime perché diffuse in maniera capillare sul territorio: solo in provincia di Como sono 208, oltre a 20 gruppi rionali.  Nasce come una vera e propria “casa del popolo”, dove ci si ritrova e si forniscono servizi ai cittadini (anche prestazioni sanitarie). Diventano poi strutture di controllo.
La proprietà degli edifici è del partito, ma c’è la possibilità che lo stesso li realizzi su aree private, prendendoli poi in locazione o concessi in uso gratuito dai proprietari.
Dal 1922 al 1932 sono costruiti senza regole; nel 1932 viene indetto il primo concorso che cerca di introdurre delle norme, stabilendo tre modalità di esecuzione in funzione delle fasce di popolazione (sino a 10.000 abitanti, da 10.000 a 50.000 e oltre i 50.000), con componenti funzionali ben identificate. Si stabiliscono delle classificazioni anche di tipo costruttivo:
-    unico corpo rettangolare per tutte le funzioni, con piazza antistante e torre arengario (ne sono esempi Como, Lissone, Erba, Rovellasca);
-    volumi destinati ad uffici e sala conferenze disposti a 180° (Milano);
-    volumi distinti per ogni funzione (Roma);
-    costruzioni con conformazioni legate alla struttura dei luoghi, quindi senza regole precise (Ponte Chiasso).
Damiano mostra le immagini degli edifici ma anche dei molti progetti non realizzati (spesso migliori di quelli scelti), firmati dai grandi nomi dell’architettura dell’epoca: Negri, Cereghini, Ridolfi, Morpurgo-Del Debbio-Foschini (progettisti della Farnesina), Terragni, Malinverno, Gardella. Interessanti gli interventi nelle Colonie (in Libia per esempio), dove c’era la necessitò di intonarsi alle caratteristiche dell’originaria architettura locale. Restando tranquillamente seduto con lo sguardo al video, dando quindi le spalle ai presenti, Damiano - con la pacatezza che lo contraddistingue – replica agli interventi.
A Carli Moretti precisa che il progetto originario della Casa del fascio di Como prevedeva la torre-arengario, non realizzata perché a Terragni non piaceva. L’edificio non è di grande pregio (meglio il progetto – non realizzato – per Rebbio) ma ha l’indiscussa capacità di dialogare con il Duomo, senza creare squilibri.
Capsoni concorda con questa analisi, sottolineando la qualità di un’architettura pulita con finalità di compenetrazione, non paragonabile con altre realizzazioni. E ancora: l’architettura è contenitore o contenuto? La Casa del fascio di Como è il progetto di un frammento di spazio ben definito – quindi contenuto, ma anche contenitore -, in uno splendido contenitore che è la Città.
Brenna (riferendosi a Damiano come al socio più introverso e fiducioso, che da le spalle con il rischio che dietro dormano tutti) sottolinea la forte presenza di progettisti anche poco conosciuti, che hanno tuttavia lasciato un segno poi spesso imitato. Due le osservazioni di Vergani: la disponibilità di risorse, che poteva consentire realizzazioni di valore, e il meccanismo dei concorsi che evidentemente funzionava. Condivide solo parzialmente queste affermazioni Damiano: i finanziamenti erano in effetti consistenti, trattandosi di propagandare il partito; i concorsi invece non sempre procedevano alla perfezione, furono scartati progetti di grande pregio. Sicuramente lo spirito meritocratico poteva premiare i migliori, perché il regime voleva prodotti di qualità.
Longatti, prendendo spunto dai nomi citati, ricorda che l’opera di Cereghini – che è stato anche buon pittore – è conservata in Pinacoteca. Lamenta poi che per l’enorme patrimonio costituito dal Razionalismo non ci sia attenzione alcuna da parte dell’amministrazione comunale, ma nemmeno dai cittadini: il Museo del Razionalismo resta un sogno di pochi.
L’Architetto Ambrosini, uno degli ospiti presenti, ci segnala in conclusione un curioso particolare, che secondo Damiano era costume dell’epoca: durante alcune ricerche sono state trovate, in Prefettura, moltissime cartelle con i versamenti dei cittadini della Provincia a favore del partito per la realizzazione delle Case del fascio.
Una relazione molto interessante e gradevole, grazie Damiano.

Angela Corengia

 

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