Bob Krieger a cena con noi al Bennet
21 Apr 2008
BobKriegerDEF

Il celebre fotografo Bob Krieger è stato nostro graditissimo ospite alla conviviale organizzata il 16 aprile da Gianna Ratti al Bennet di Montano Lucino.
Segue una breve biografia del grande fotografo di moda, di cui passarono alla storia, tra gli altri, gli scatti a Gianni Agnelli.

Nell'immagine: Bob in una foto di Tony Federico, pubblicata dalla rivista “What's up”


Bob Krieger 

Fotografo italiano, nasce ad Alessandria D’Egitto nel 1936. E’ fin da ragazzo affascinato dal mondo dell’arte cui lo avvicina il bisnonno Giuseppe Cammarano autore dei dipinti neoclassici della Reggia di Caserta. Pur avendo cominciato a fotografare a 11 anni (ricorda ancora la sua prima immagine, un ritratto della madre), solo nel 1962 entra in uno studio come assistente.
Trasferitosi nel ’67 a Milano dove tuttora vive e lavora, comincia l’attività in proprio pubblicando subito su Harper’s Bazaar e Vogue e documentando la nascita del pret-a-porter italiano.
Dal ’70 al ’75 è Art Director di Bazaar Italia, poi torna a realizzare fotografie lavorando per i più grandi stilisti (Armani, Krizia, Versace, Valentino, Bulgari) su riviste come N.Y. Time Magazine, Vogue, Esquire, Harper’s Bazaar, ma affermandosi anche in campo pubblicitario e firmando ben tre copertine di Time, tra cui, nell’82, quella dedicata a Giorgio Armani.
Pur legato alla moda, se ne allontana per realizzare ricerche personali sul nudo – con i libri Metamorfosi in bianco e nero nel ’90 e Anima nuda a colori nel ’98 – e sul ritratto con immagini di grande libertà espressiva.


Intervista pubblicata sulla rivista “What's up”

UMILTÀ E FOTOGRAFIA: LEZIONI DI VITA E ARTE DI BOB KRIEGER
di Simona Scacheri

Di lui parlano le sue innumerevoli copertine, dal New York Times a Harper’s Bazar, i libri e le mostre che raccolgono i suoi lavori perché Bob Krieger ha saputo raccontare la storia della moda attraverso il suo obiettivo.

AgnelliDEFGianni Agnelli fotografato da Bob KriegerNel venire a visitare la nostra redazione, situata sullo splendido Naviglio milanese nei pressi del Vicolo dei Lavandai, non si può non notare un senso di totale disordine che accoglie l’ospite una volta varcata la soglia dell’ufficio. Consapevole di questo mi sono subito affrettata a cercare giustificazioni da dare a Bob Krieger, illustre fotografo che ha saputo eternizzare con i suoi scatti attimi di vita della nostra società. “Non ti preoccupare, si lavora meglio senza troppi comfort. Siete giovani è giusto che siate ancora precari” ha risposto Krieger sorridendo nel ricevere le mie timide scuse.

La precarietà aiuta la creatività?
Sì, altrimenti si diventa meno creativi. Sembra un concetto poco carino da esternare, ma a mio avviso da giovani è giusto che ci sia il timore di non farcela perché solo così l’ingegno si aguzza e i risultati arrivano. Il punto è che la sicurezza a volte crea una pigrizia negativa, ma il discorso è ben diverso quando si superano i trent’anni e la sicurezza diventa un diritto.

Ne hai parlato anche con Beppe Grillo mentre lo ritraevi?
Non mi ricordo, ma devo dire che è una riflessione che ho fatto da poco tempo.

Quindi deduco che non hai vissuto come un bamboccione…
Io sono stato buttato fuori casa quando avevo 14 anni, altro che bamboccione. Sono cresciuto in Egitto in pieno regime post-coloniale (anno di nascita 1936 NdR) vivendo e subendo il pregiudizio razziale dei locali, convinti che noi fossimo i mascalzoni. Una volta uscito  di casa… Non sapevo cosa fare!

Allora non è vero che la tua prima foto fu scattata a 11 anni a tua mamma, e che da lì trovasti la vocazione della tua vita?
Queste sono leggende metropolitane (ride, NdR), eanche se ammetto che la prima foto fu realmente scattata a mia mamma, io in realtà mi definisco “fotografo per caso”. C’è da dire però che io vengo da una famiglia di artisti, e l’arte era già nel mio DNA purtroppo.

Purtroppo?
La vita da artista e da creatore non è facile, il rapporto con se stessi è sempre più difficile, e cresce una specie di terzo occhio capace di cogliere le sfumature più orrende della nostra società. Il terzo occhio è quello che vede in profondità e non sempre questo è un vantaggio, ma non voglio essere pessimista… Rispetto a un tempo le cose procedono in maniera decisamente migliore. Sorrido quando si parla di crisi, perché per chi ha conosciuto quella vera, la fame e la fine della guerra, questa non è crisi. È piuttosto mancanza di comodità, che le gente esige anche se non so con quali diritti.

Quando nacque la tua vocazione da fotografo?
Tornando in Egitto dopo la laurea presa in Sua Africa, incontrai un fotografo insieme a una bellissima modella. Non mi ero reso conto che lei fosse truccata, la credevo bella veramente, mentre in realtà era piuttosto bruttina. Mi innamorai ugualmente dell’immagine che avevo davanti e dell’armonia dei dettagli, dal trucco agli abiti.
Il fotografo mi chiese di fargli da cicerone e poco dopo mi domandò se volevo essere il suo assistente. Lì sentii subito la passione per la fotografia e incominciai il mio percorso e la mia carriera.

Carriera incredibile.
Sì, ho avuto molta fortuna. Quando se ne ha tanta spesso si dice che è destino, solo per nobilitare un semplice fattore “C”.

Come vivi oggi l’era della digitalizzazione?
Tanti anni di studio buttati via, perché oggi non servono più gli accorgimenti appresi anni fa. Ore di lavoro per un neo che non si doveva vedere, oggi bastano poche azioni con il computer. Io credo che il fotografo inteso come tale non esista più: si registra un documento attraverso l’immagine e poi il computer crea, e attraverso il computer si scatena la mia fantasia. La fotografia ha perso il suo senso originario e ha cambiato forma, ma su alcuni temi come i ritratti la sua essenza non cambia. Io ad esempio scatto i ritratti ancora con la pellicola e se modifico le foto dico al mio ritoccatore “Vedi questa ruga? Tu me la devi togliere, ma io la devo ancora vedere”. Secondo me questa è la chiave.

Il bilancio del passaggio dalla pellicola al digitale è positivo?
Fantastico. Ho quasi gratitudine per il digitale perché mi permette maggiore libertà nel momento in cui scatto. Non devo vincolare troppo il mio modello nel corso dello scatto perché tanto so che potrò correggere dopo gli errori o i piccoli difetti.

Si parlava di ritratti, ma tu hai iniziato come fotografo di moda. Come mai hai scelto la moda?
Ai tempi si pensava che un fotografo fosse “bon à tout faire”, senza temi o specialità. Scelsi la moda per distinguere il settore che seguivo e percorrere una strada precisa perché ogni professionista ha la sua specialità.

Cos’è la moda?
Vita e movimento. La moda ha il compito di dare allegria, di comunicare desideri e risultare sensuale; deve essere accattivante, o erotica o informativa, ma soprattutto la moda è l’essenza dell’eleganza. E l’eleganza è un gesto che raccoglie il proprio vissuto.

Cosa resta e cosa è cambiato rispetto agli anni ‘80?
Tutto cambia e tutto è mutevole, nella storia come nella moda. La moda si è sempre ispirata a quello che era già stato, ma serve rivisitare le tendenze nel momento giusto, che è determinato sempre dalle persone più note.

O dalle testate di moda più accreditate…
Io non vorrei smitizzare l’importanza delle testate di moda, ma a volte  le principali riviste sono molto influenzate dalle pubblicità. Molte griffe che hanno avuto una forte riscoperta e rivalutazione negli ultimi anni, hanno prima vissuto un periodo di disinteresse mediatico e poi d’un tratto sono tornate ad essere considerate geniali. Ma in realtà lo erano anche prima, solo che non avevano i budget pubblicitari per dimostrarlo. Ormai credo che quello della moda sia un sistema molto avviato e ben definito.

La fotografia per Bob Krieger?
Il mio mestiere è nobilitare il soggetto. La professione del fotografo prevede di rendere splendido un oggetto che magari splendido non è. Quando mi si dà un abito di Valentino io devo interpretare un abito di Valentino, non posso metterci troppo del mio perché è lo stile di Valentino il protagonista dello scatto. Mi diverto invece quando ho delle marche anonime, meno note e meno pregiate, perché sta a me riuscire a rendere l’abito di una bellezza estrema.

Un ritratto di Bob Krieger?
Un ritratto è un attimo di seduzione reciproca. Il soggetto ti dà una confidenza che tu non devi prendere nel momento sbagliato, i luoghi per darsi le pacche sulle spalle sono altri.

Vorrei commentare con te alcuni tuoi scatti (dal libro Chic e click, ndr) che ritraggono protagonisti della storia della moda…
Giorgio Armani
Un amico di infanzia di moda perché più o meno abbiamo iniziato insieme.

Dolce e Gabbana
Loro nascono minimalisti, ma venendo poi a mancare Gianni Versace il filone trasgressivo e barocco non aveva più paternità, e loro sono riusciti a occupare quello spazio con grande bravura.

Gianni Versace
Era una persona straordinaria, geniale e dopo di lui non si può negare che ci sia stato il vuoto. Donatella ha tentato di seguirne le orme, ma inizialmente ci sono stati dei problemi che ora però ha superato egregiamente. 

Gianni Agnelli
La persona che più ricordo nella vita, colui che mi ha gratificato di più nel mio lavoro. L’avvocato era unico al mondo.

Lapo Elkann
Lo amo come se fosse mio figlio, è di una bontà che sfiora la stupidità. Lui è fantastico, è il nonno in chiave moderna.

Dopo tanti viaggi per il mondo, come mai hai scelto Milano come casa?
Sono milanese per scelta. Mi sono sentito subito a casa e gli italiani sono stati con me di una generosità estrema al punto da darmi totale fiducia e massima considerazione, alle volte mi piace dire che mi hanno reso famoso prima che io fossi bravo. Questo per far capire l’accoglienza calorosa che ho ricevuto.

Togliendo il discorso della fortuna, che sappiamo non bastare… A chi devi la tua folgorante carriera e la tua fama?
A me stesso. Ce l’ho messa tutta. Essere direttore creativo di Harper’s Bazar mi ha poi permesso di lavorare per tutti a Parigi, New York o Milano. Fui il primo a scattare una cover moda per il “Time” e ho avuto l’onore di ritrarre tuttu i più importanti personaggi del mondo della moda. Ma va detto che mi sono sempre sacrificato totalmente per il mio lavoro.

 

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