Como: laboratorio urbano
09 Mag 2012
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CONVIVIALE DEL 9 MAGGIO 2012
La relazione dell'Architetto Angelo Monti  sulle strategie per ritrovare Como

Nell'immagine: l'Architetto Angelo Monti e Camillo Vittani


All’inizio del ‘900 solo il 10% della popolazione del mondo viveva in ambiti urbani. Oggi questo valore ha superato il 50%
Nel 1950 le strutture metropolitane con più di 10 milioni di abitanti erano due, oggi sono più di 25 e sono destinate a crescere esponenzialmente, soprattutto nei nuovi territori economicamente emergenti del sud est asiatico.
Quale modello di città si sta, dunque, consolidando e, soprattutto, è ancora possibile de-finire, nel senso etimologico di de-limitare, le città?
I grandi sistemi metropolitani  a “densità variabile” che, nelle suggestive immagini satellitari notturne, rimandano a “galassie” di urbanizzazioni, sono ancora città o altro?
Anche le nostre medie  e piccole realtà, sono parte di questa mutazione della città contemporanea che capovolge il rapporto storico città-natura, travolgendo lo spazio naturale, diventato, per molti territori come il nostro, uno spazio recintato nel mondo antropizzato.
Una città che è ovunque, cancella la stessa idea di città e il suo valore simbolico e identitario.
Forse per cercare di ri-definire le città, è urgente declinarne la complessità,  partendo  da quella contraddizione irrisolvibile, ben evidenziata da Cacciari, per cui le città sono sempre state percepite come grembo, luogo rassicurante, e al tempo stesso vissute come macchine, spazi di efficienza e mobilità.
Ebbene, credo che un punto fermo per ripensare alla città consista in una seria politica per ritrovarne i  limiti.
Il processo espansivo, continuo e alieno da ogni programmazione, genera urbanizzazioni senza urbanità e un consumo incontrollato di un bene, il nostro suolo, assolutamente non riproducibile.
Il consumo di suolo è, oggi, la misura del grado di sostenibilità che vogliamo assicurare alle future generazioni, anche in termini economici.
Questa valutazione è ormai oltre le posizioni ideologiche.  
La ritroviamo nei dati statistici del mercato immobiliare della crisi, lo affermano i tecnici e gli imprenditori più responsabili, appartiene, come principio programmatico, a tutti i nuovi piani di governo del territorio.
È, oggettivamente, insostenibile pensare, per esempio, di poter continuare a sottrarre qualcosa come 4 mq per abitante ogni anno, come è accaduto nell’ultimo decennio per il nostro territorio
È insostenibile per la qualità della vita, dell’ambiente, del paesaggio, delle infrastrutture e, dunque, per la stessa economia.
Per uscire dalla genericità dei principi o degli slogans, abbiamo, però, necessità di politiche adeguate al reale fabbisogno, di coraggiose strategie insediative e, soprattutto, di qualità. In una parola, dobbiamo dare  finalmente un quadro di coerenza ai differenti fattori che determinano la qualità del nostro ambiente di vita.
Personalmente sono convinto che questi obiettivi siano da ricercare in programmi di seria e convinta ristrutturazione critica del patrimonio esistente.
Un piano strategico  di rigenerazione urbana sostenibile può essere vincente per la qualità ambientale e al tempo stesso per l’economia di un settore strutturale quale la filiera edilizia.
Circa 90 milioni di vani, dei 120 che costituiscono il patrimonio italiano, versano in condizioni di scarsa qualità ambientale, costruttiva ed energetica.
Un mercato immenso ed un’immensa opportunità che può diventare anche l’occasione per  riaffermare il ruolo della città pubblica e l’importanza di rivalutare il progetto dello “spazio di relazione tra le cose” (come lo ha definito Vittorio Gregotti).
Rigenerare significa prima di tutto pensare ad un serio fondante disegno dello spazio pubblico, dei suoi percorsi, piazze e funzioni, che diano senso alla città che cambia. La città pubblica e la qualità di luoghi di vera urbanità sono anche una salvaguardia economica e una garanzia di redditività nel tempo, come sanno bene gli investitori più attenti e come ci sta insegnando questa crisi strutturale.
Anche l’indispensabile sinergia pubblico-privato di una società moderna comporta poche ma forti regole, che ben individuino, a vantaggio di tutti, l’equilibrio tra priorità collettive e diritti dei singoli operatori, senza che la flessibilità della programmazione si associ ad improvvisate deregulations.

Rigenerare è, anche, riflettere sull’accessibilità ai vantaggi urbani,  sul concetto e il significato che “abitare la città” sta assumendo per nuove categorie di cittadini - giovani, studenti, nuovi city users, migranti -  affinché le città tornino, anche in Italia, ad essere attrattori dello sviluppo economico e culturale.
Sono personalmente convinto che su questi temi, Como, al pari di quanto avvenne negli anni settanta per la questione dei centri storici, possa proporsi come laboratorio sperimentale di un modo innovativo nel progetto e nel disegno delle sue trasformazioni urbane.
Tra i tanti potenziali programmi, ne voglio avanzare due che ritengo tra i più conformi ad una seria politica di rigenerazione.
Il primo è un progetto già scritto, che attende solo un coerente disegno di messa in rete dei propri singoli elementi, proprio perché, come scriveva Italo Calvino, “le città future sono già contenute nelle presenti come insetti nelle crisalide”.
Per Como si tratta di quel dispositivo urbano costituito dalla Casa del Fascio (meglio dall’Isola del Razionalismo), il lungo lago, i giardini, lo stadio, la proto-città razionalista, la passeggiata Gelpi, Villa Olmo e che si apre ed alimenta l’idea anticipatrice del Kilometro della conoscenza.
Questa rete di luoghi della cultura, del paesaggio, del loisir costituisce una straordinaria sedimentazione della storia, di cui il patrimonio razionalista è elemento catalizzatore.
È un sistema di connessione in grado di dare risposte concrete  a quell’apparato museale, ricreativo, conoscitivo indispensabile per una città che cerchi un’identità da affermare nella condizione globale contemporanea.
Un potenziale museo diffuso permeabile a compresenze e interazioni urbane, naturali e paesistiche.
Propongo di chiamare questo progetto “Città della Cultura”.
La seconda proposta è quella di saper individuare luoghi destinati alla promozione e alla incentivazione del lavoro, della professionalità e dell’abitare giovanile nelle città.
Mi piacerebbe pensare a nuovi o recuperati contenitori, pubblici o magari acquisiti da fondi immobiliari, soggetti al mercato convenzionato e finalizzati al primo inserimento e allo start up dei giovani lavoratori e professionisti.
Luoghi di lavoro che potrebbero condividere servizi collettivi, spazi per laboratori e per la ricerca, housing privato economicamente accessibile alle nuove generazioni.
Luoghi di “mixitè” e di coesione sociale- veri presupposti per costruire il senso di appartenenza-, dotati di funzioni forti in grado di coniugare la compresenza di abitanti diversi per generazione, ceto e professione.
Tra le tante aree di riqualificazione a Como (Ticosa, Sant’Anna, S. Martino ecc.) penso, in particolare, al grande contenitore delle caserme che presto saremo chiamati a riconsiderare.
Uno spazio da “ri-ciclare” funzionalmente, senza necessariamente sostituirlo, anzi da trasformare, alterare, contagiare con nuove funzioni e nuovi linguaggi, come insegnano analoghi modelli di trasformazione urbana sperimentati in molte realtà europee.
Spazi per residenze a costi calmierati destinati alle fasce più deboli -  studenti, giovani coppie, anziani - ma anche laboratori artigianali, studi, ateliers, gallerie, biblioteche, luoghi per la creatività e per attività ricreative.
Penso a tutto questo in un disegno urbano integrato al tessuto del quartiere con ovvi positivi effetti di rivitalizzazione di aree più vaste del singolo intervento.
Se tanto auspichiamo una rinascita per Como dobbiamo costruire le opportunità, sostenere le qualità, scoprire e valorizzare le nuove energie, unici motori della crescita urbana.
Non chiamiamola “Utopia” ma, come ho già scritto, “fiducia”.

Angelo Monti
Architetto libero professionista, docente a contratto presso l’Università di Parma, Presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Como.

 

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