Memorie di Antonio
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L'affettuoso ricordo di Marcello Campisani per l'amico Antonio Sala

 

Amico! Questa si che è una parola. Apoplettica e non modulabile.
Tanto come sostantivo che come aggettivo.
In realtà, nel corso della vita, l’amicizia è rara, quasi come l’amore.
Persino altrettanto esclusiva.
E se ci si può innamorare di chi, in un primo tempo, si disistimava o addirittura si odiava, amici per lo più si nasce.
Con Antonio avevo in comune solo una vorace passione letteraria che, man mano, ci ha rivelato altre affinità.
Cosa che non cessava di sorprenderlo, sottolineando come provenissimo da due mondi opposti e contrari.
Mi chiamava magno-greco per definirsi allobrogo.
Di tratto ruvido e trinciante io, levigato e riflessivo lui.
Io di liceo classico, lui scientifico. Cosa di cui non cessava di rammaricarsi, attribuendogli una valenza, credo, del tutto inesistente.
Totalmente, tetragonamente agnostico io, nonchè velleitariamente disponibile ad insegnare un po’ di teologia persino al papa, credente lui.
Progressista (si fa per dire) io, conservatore (si fa per dire) lui.
Persino quando si compiaceva dei successi di un Milan trionfante, gli opponevo che il calcio doveva considerarsi finito fin ai tempi in cui ci giocavamo all’oratorio, che era diventato uno spettacolo e che non poteva considerarsi uno sport, neppure da un punto di vista atletico.
Ci eravamo incontrati veramente allorchè gli chiesi una sua opinione, circa un copioso processo per falso, in tema di certificazioni.
Mi affliggeva, nella circostanza, la communis opinio, dottrinaria e giurisprudenziale, che non condividevo affatto, ma che trovava tutti i condifensori rassegnati a quella esegesi.
Due giorni dopo, mi faceva pervenire una memoria di 14 pagine, che considero un classico, tanto lucidamente ed esaustivamente riassumeva l’essenza dello scibile del diritto amministrativo.
Per suo merito, cambiò la giurisprudenza e le malcapitate vennero assolte.
Lo esortavo, come diceva Socrate a se stesso, a “fare musica”, a dedicarsi cioè ai lucidi piaceri del pensiero e alle segrete avventure dell’ordine, anzichè azzuffarsi nel becerume burocratico-forense, dal quale uno come lui poteva – dati i tempi – soltanto uscirne con le ossa rotte, perchè “contro la forza la ragion non vale”.
E per chi ha scelto di operare nella giustizia per la giustizia non c’è sconfitta più cocente.
Mi rammostrava tardive sentenze, speranzosamente attese, e divenute raccapriccianti reperti di sordità logica e di sostanziale ingiustizia, nonchè simmetricamente opposte alle più recenti pronunzie giurisprudenziali, tutte favorevoli alle sue tesi.
Gli ricordavo allora la sintesi dell’insuperabile Gadda: “a Pastrufazio si, a Terepattola no!”
Avevo persino coniato, a suo uso e consumo, l’aforisma per cui “la corruzione ha questo di buono che aiuta i prepotenti a sopportare la democrazia”.
Lo esortavo ad andarsene subito in pensione ed a godersi qualche giorno di sole. Pensione con cui a Como avrebbe faticato a tirare la fine del mese, ma che qui a Paros gli sarebbe bastata per due. Mi ribadiva che lui rappresentava forse l’unica fonte di reddito per suoi congiunti.
Fui duro, gli dissi che aveva un solo nemico, se stesso, il suo aguzzino interiore, il suo stramaledetto senso del dovere.
Ma soprattutto mi piaceva ascoltarlo, stimolando il suo commento letterario.
Quei “promessi sposi” visti come una zoomata sul mondo, dalla vasta geografia ad un viottolo di campagna, fino all’anima.
Da quel ramo del lago di Como che poi stringe su Lecco, su Pescarenico sul vero protagonista don Abbondio, sulla psicologia individuale e collettiva.
Ci dicemmo silenziosamente addio, sorbendo un caffè nei pressi del suo studio, quando gli comunicai che, in settimana, sarei partito per la Grecia, con la coltivata speranza di fare ritorno solo per il Natale.
Cercai persino di fargli invidia, dicendogli del mare incantato, dei due soli in un cielo che non conosce l’afa, delle lunghe sere mediterranee, solo luogo conosciuto dove si può smontare e rimontare l’universo mondo, peripateticamente dialogando, dal pomeriggio fino a notte fonda, custoditi dal velluto notturno e da una cascata di stelle che ti piovono giù dal soffitto del buio.
E che se proprio aveva un autentico senso del dovere avrebbe dovuto occuparsi di quelle profondità di pensiero per cui era insostituibile e non già di cose che potevano eseguire altri.
E ancora, per scuoterlo e scandalizzarlo, gli dicevo che tanto non c’era scampo, che stavamo andando verso un nuovo feudalesimo.
Il ruvido tedesco Carlo Marx, che pure aveva una buona dose di ghisa nel suo pensiero, ad esempio il feroce teutonico torto di disprezzare tanto Mazzini che Garibaldi, i due uomini più affascinanti del suo secolo, se si era sbagliato non era certamente per eccesso. Per difetto casomai, come andiamo via via constatando, con un capitalismo che, senza più ostacoli nè remore, costringe intere nazioni a patire ristrettezze, e domani, a democrazia esaurita, persino la fame, pur di indefinitamente arricchire i già ricchissimi.
Che la salvezza non 
può venire dal rigore, nè dal nord del mondo nè tantomeno da una ipotetica giornata lavorativa di 24 ore. 
Basta insomma, Antonio, farsi appaltare il cervello, adoperalo per te stesso, rendine partecipe chi sa apprezzare...
Non sarai più insultato dalle forsennate idiozie quotidiane.
Certo cose simili, e magari peggiori, non mancheranno neppure nella polinesia mediterrana, ma vuoi mettere il vantaggio di non capire la lingua e di apprezzarne solo la musicalità?
E poi hai visto mai? Non è certamente nella nebbia, nell’inquinamento, fra la malavita politica e quella organizzata, in una catena di montaggio e persino fra brave persone che lavorano coscienziosamente, dalla otto alle dieci ore giornaliere, che potrai incontrare un Eraclito o un Parmenide.
E così, lontano dal mio interlocutore, mi sono andato abituando a confrontare pensieri, che oziosamente continuano a visitarmi, con ciò che pensavo ne pensasse Antonio.
Avrei poi fatto la verifica con lui, durante l’inverno comasco. 
Non sarà più possibile.
Una stupenda persona è tragicamente scomparsa.
Antonio ha improvvisamente, impetuosamente interrotto le trattative con i propri dispiaceri.

 Ci mancherà.

Ma il dialogo non sarà interrotto.

Marcello

 

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