Il punto di vista di Giorgio Luraschi, Socio onorario Doc
Nel momento in cui il nostro Sodalizio si accinge ad accogliere come socio onorario Sua Eccellenza il Prefetto, mi si chiede una breve meditazione sulla figura, appunto, del socio onorario.
Anche se la cosa un po' mi imbarazza, avendo io, con Giulio Casati, inaugurato, quasi trent'anni fa, la serie dei benemeriti (credo regnasse Pupi Brenna), lo faccio di buon grado perché mi consente di mettere in luce, anche al riguardo, lo stile e la filosofia del Club, che, a quanto pare, si perpetuano inalterati e, proprio per questo, mi piace rivendicarli. Intanto si è sempre dimostrato parco nella elargizione del riconoscimento: oggi ne abbiamo cinque (il massimo raggiunto) ma per molti anni furono solo due e poi tre, e il terzo fu nientemeno che il Vescovo. Il che significa che si è sempre ponderato bene il significato ed il valore della cosa.Il più delle volte, invece, operazioni del genere riflettono un fin troppo palese opportunismo: quello di ingraziarsi autorità, propiziarsi simpatie e favori o, quando va bene, procurarsi "soprammobili" da esibire, spesso solo sulla carta. Mai per noi è stato così! Pensate al nostro Vescovo, Monsignor Sandro Maggiolini, che da non molto ci ha lasciati, il quale, come dicevo, fu il terzo socio onorario, in ordine di investitura, e che, in teoria, avrebbe avuto tutte le caratteristiche per essere una figura di circostanza, meramente rappresentativa, e invece ricorderete tutti come si affezionò a noi, tanto da partecipare (finché la salute lo sorresse) alle nostre conviviali, specie a quella del mercoledì di Pasqua, facendoci dono del suo pensiero profondo e anticonformista. E sono sicuro che (sul versante laico) si comporterà allo stesso modo anche il nostro Prefetto, che (per colpa mia) conosco troppo poco, ma del quale sento dire un gran bene in tutti gli ambienti cittadini, e, per Como, questo è un fatto davvero eccezionale. Degli altri onorari Giulio Casati, Paolo De Sanctis, Mario Landriscina e Antonio Sala (al caso mio, un po' anomalo, accennerò alla fine) sappiamo tutto e non occorre tesserne le lodi o additarne l'attaccamento al Club, che si appalesa, comunque, nella loro sempre piena e prestigiosa collaborazione, nonché nel lustro che ad esso sanno dare. Ma, e questo è il bello della cosa, il vantaggio, a conti fatti, finisce per risultare palesemente reciproco: è infatti innegabile che pure gli onorati possono trarre motivo di vanto dall'onorificenza, se non altro perché sono stati prescelti, fra altri papabili, da un consesso elitario e altamente qualificato, che senza dubbio alcuno rappresenta il meglio dei vari settori della società comasca. Eppoi sono impagabili le occasioni che il sodalizio (il nostro, in particolare) offre per fare amicizia e per apprendere, secondo le consuetudini del convivium antico; in più vi è l'opportunità di far del bene senza clamori e spesso vincendo la pigrizia dei singoli, che quasi non se ne accorgono. Il Rotary Baradello, in tutto questo, è maestro e negli ultimi tempi ( vedi le conviviali di Moltrasio e del Bennet di Montano Lucino) ho visto incoraggianti ritorni in questo senso. Ma il discorso, a questo punto, potrebbe essere esteso alla filosofia del socio onorario. Ci si potrebbe chiedere che senso ha oggi (epoca di pragmatismo esasperato) continuare nella pratica di attribuire titoli onorifici eclusivamente per le virtù dei destinatari e non per mera utilità; e devo dire che anche nel nostro Rotary qualcuno, a suo tempo, il problema se lo era posto, ma la cosa finì lì. E', comunque, un dilemma antico, il quale già divideva Greci e Romani, e fra questi anche il nostro Plinio il Giovane. I primi erano soliti affermare che la virtù è a se stessa premio, e che quindi non c'era bisogno di alcun riconoscimento e chi aveva la fortuna di essere "bravo, buono e bello" doveva sentirsi pago di tali doti e ritenersi già un privilegiato del Fato. I Romani, invece, la pensavano esattamente al contrario, predicando l'importanza della ricompensa per la funzione esemplare e maieutica che essa, dando visibilità ai meriti, è in grado di svolgere. Plinio, poi, li superava tutti, affermando senza ipocrisia o falsa modestia: "Non sono ancora giunto a tanta sapienza che non mi importi nulla se le buone azioni, che credo di avere compiute, ricevano un qualche riconoscimento e, in certo qual modo, un premio" (ep. 5, 1, 12); e ancora "Non dovrei forse io essere contento della popolarità del mio nome? Io ne sono contento e proclamo di esserlo. Non ho nessuna paura di sembrare un po' troppo vanitoso quando esprimo l'apprezzamento degli altri sul mio conto e non il mio, soprattutto quando parlo con te che non sei geloso della buona fama di nessuno e che sei un sostenitore della mia" (ep. 9, 23, 5). Io sommessamente vorrei aggiungere una considerazione che, forse, è soltanto mia. Per me ogni riconoscimento, ogni premio, e, quindi, anche quello del nostro Rotary, a cui tengo oltremodo, anche perché è stato il primo che ho ricevuto in città (poi me ne sono arrivati altri, tutti graditissimi e prestigiosi), ha un significato assolutamente particolare e ineguagliabile: intanto perché "non di solo pane vive l'uomo", e poi perché è capitato nel momento giusto, a 37 anni (ci radunavamo ancora al Regina Olga di Cernobbio!) , quando, giovane vincitore di un concorso a cattedra (quelli seri di una volta!) e abbandonata l'avvocatura, mi chiedevo se avessi fatto le scelte giuste. Sì, è vero scrivevo libri e articoli, che mi dicevano buoni, ma che leggevano solo i pochi esperti di Diritto Romano, facevo lezioni a Parma, Pavia, Milano Statale e Cattolica a migliaia di studenti del primo anno ddi Giurisprudenza, che poi, però, non vedevo più. Che conferma potevo io avere delle mie capacità, della utilità della mia professione! Gli altri professionisti hanno tutti un riscontro più o meno immediato del loro agire, vedono i risultati, io no (non è certo un risultato il voto che do all'esame!). Ed ecco a cosa servono, in questi casi, i premi: ad assicurarti che la tua fatica non è stata vana e che la tua dedizione ed il tuo sacrificio sono stati compresi ed apprezzati da chi ha raccolto su di te voci e testimonianze lusinghiere negli ambienti più disparati. Cari amici, voi non immaginate quale incoraggiamento mi abbiate dato e quanto bene mi abbiate fatto. Lo dico ora che sono in tempi di consuntivi. Ma lasciatemi chiudere con un ricordo fra il serio ed il faceto. Quando il gruppetto di Rotariani (erano in pochi, non più di una ventina) decise di conferirmi la qualifica di onorario, anche perché non avevo né i soldi né il tempo (insegnavo a Pavia) per entrare come effettivo, nella motivazione elencarono alcuni meriti: il precoce titolo universitario, il ruolo nella cultura comasca, l'amore per la città e per la sua storia, ma si accennò anche alla abilità di conferenziere, che, bontà loro, avrei dimostrato in alcune mie "esibizioni" negli anni 1979-80 (che piacere parlare a quei tempi, specie da Pizzi con la tavola a U, quando nessuno aveva fretta!). Ed ecco scaturire da alcuni soci la soluzione che avrebbe ulteriormente giustificato la concessione della benemerenza: Luraschi deve assicurarci almeno uno o due conferenze all'anno, e, quando occorre, prestarsi a fare il tappabuchi. Ed io ho sempre rispettato l'accordo, anche durante un mio lungo ricovero ospedaliero, quando affidai a Lazzarini la lettura del testo che avevo predisposto. Chiudo con un augurio e un consiglio al nuovo Presidente, l'amico Roberto Dotti, che ha esordito alla grande: approfitta della voglia di Rotary, che in alcuni finalmente sento crescere e sii bifronte: d'accordo guardare al futuro, ma senza dimenticare il nostro splendido passato. Il mio aiuto, comunque, per quello che so fare, l'avrai sempre.
Giorgio Luraschi
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