LE IMPRESSIONI SULLA CINA di Paola Carlotti
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Quando arrivi a Pechino per la prima volta e dall'aeroporto prendi l'autostrada, pensi che sia una bella trovata: il casello per il centro città è costruito come la porta d'ingresso di un tempio, ne riprende forme e motivi tradizionali, ma è ovviamente nuovo di zecca e dipinto con colori sgargianti.

Quando però, nei giorni successivi, cominci a visitare i monumenti della capitale, l'impressione si ribalta. Sono gli ingressi della Città proibita, del Palazzo d'Estate, del Tempio del Cielo ad assomigliare terribilmente al casello dell'autostrada. Non solo nel modello e nello stile, ma anche nei colori e nei materiali. Perché le porte dei monumenti cinesi, come ogni altra loro parte, vengono costantemente rinnovati: ridipinti se il colore sbiadisce, sostituiti se il legno si rovina, ricostruiti se danneggiati dalle intemperie o da altri accidenti.

Come la Grande muraglia: ci sono dei punti - dove la nostra guida cinese ovviamente non ci ha portati - in cui la cinta costruita a difesa del Celeste impero è un percorso irregolare e accidentato, fatto di pietre ormai sconnesse e di saliscendi semi diroccati. Quei punti, ai visitatori, i cinesi non li fanno vedere. E' invece Badaling la meta obbligata per i turisti: una ricostruzione della Grande muraglia, dove il percorso è perfettamente intatto, i parapetti sono tutti interi, l'acciottolato è lucido e regolare.

Per un italiano, visitare i monumenti storici in Cina può essere un'esperienza alquanto deprimente. Che lascia addosso una sensazione di fastidio, di occasione perduta, di frustrazione. Perché la Città proibita deve sembrare un set cinematografico? Perché la Grande muraglia non poteva essere lasciata com'era?

Con i cinesi, noi italiani abbiamo tante cose in comune: l'affabilità, il calore, l'importanza della famiglia, la passione per il cibo - che in Cina è ottimo, colazioni a base di pesce e di pasta fritta a parte. E non sarà certo la loro tendenza all'approssimazione, l'arte dell'imbroglio o l'abitudine all'inciucio a dividerci. Della Cina dobbiamo ammirare la potenza, la ricchezza culturale, il fascino della lingua scritta e la velocità nel fare tante cose, dal cucire un vestito al modernizzare una metropoli. Ma c'è una cosa che gli italiani difficilmente potranno capire - o accettare - dei cinesi: il fatto che i loro monumenti non appaiono mai tanto antichi quanto dovrebbero.

A dirla così potrebbe sembrare una cosa da poco. In realtà, un'intera filosofia si cela dietro alla Città proibita tirata a lucido. C'è il motivo molto pratico legato ai materiali con cui i palazzi storici e le loro parti decorative erano costruite: legno e terracotta, oltre a pietre. Naturale che gli agenti atmosferici e gli incendi abbiano avuto la meglio sulle parti più delicate, rovinandole e distruggendole per sempre.

Così, per permettere ai monumenti di sopravvivere negli anni, i cinesi hanno imparato a ricostruirli uguali identici a come erano in origine, con materiali nuovi di zecca e colori sgargianti. Versioni nuove, ma copie esatte dell'originale, affinché i palazzi storici appaiano come potevano apparire il giorno dopo la fine dei lavori.

Non avrebbe infatti senso, pare dicano gli esperti d'arte cinesi, restaurare un monumento per conservarlo come lo si è trovato a secoli di distanza - rovinato, semidistrutto magari. I palazzi storici devono essere conservati come erano da vecchi, e cosa c'è di più vecchio dell'originale, cioè del monumento quando era nuovo di zecca?

Se prendete un aereo per la Cina, dimenticatevi l'arte del restauro all'italiana, la conservazione dei siti storici, la protezione non invasiva dei dipinti. E mettetevi nei panni dei cinesi quando, visitando il Colosseo, si chiedono perché quei pigri degli italiani non abbiano pensato di ricostruirlo per intero, per mostrarlo come era ai tempi dei romani.

Paola Carlotti

 

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