Alberto Longatti: Giardini a Lago, nati da una palude malsana
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Ricordava Alessandro Volta in una scherzosa poesia giovanile che nel Settecento la zona del Pra' Pasquée era paludosa, malsana e anche malfrequentata, con certe falene notturne che toglievano la pace ai giovani "abatini" in preda alle tempeste ormonali. Non doveva essere agevole avere certi incontri camminando nel fango scaricato dal Cosia, allora defluente a cielo aperto verso il lago, che a sua volta provvedeva ad innaffiare il terreno con le sue periodiche esondazioni. La precaria situazione venne modificata sul finire del secolo XVIII e nei primi anni del secolo successivo, rinforzando gli argini alla foce del Cosia e bonificando il terreno palustre. A metà Ottocento l'opera di risanamento venne completata provvedendo ad un'estesa piantumazione di robinie raggruppate in boschetti e separate da viali in terra battuta; sulla punta più avanzata a nord-est venne disposto uno spiazzo tondeggiante con funzione di belvedere, chiamato "La Rotonda". A confermare la destinazione di zona a prevalenza verde per il passeggio e la sosta dei cittadini, lungo la sponda a nord-ovest vennero costruiti i bagni pubblici (1884) chiudendo uno specchio d'acqua per la balneazione in una costruzione a forma di U, nonché il cantiere dei battelli della Navigazione Lariana e un breve nastro di spiaggia libera detto Bindelin. Sull'altro lato dell'area vennero insediati l'edificio e le attrezzature portuali dello scalo merci delle ferrovie statali: i vagoni trasferivano il carico dai treni al lago su binari disposti lungo un raccordo sopraelevato che collegava lo scalo alla stazione di San Giovanni.

A fianco dei giardini e dietro gli stabilimenti dei Bagni restava scoperta una vasta area che si prestava a vari tipi di manifestazioni pubbliche: parate militari, esibizioni ginniche, la grande Esposizione Voltiana del 1899 con padiglioni lignei progettati dall'ing.

Eugenio Linati, e persino il circo di Buffalo Bill. L'Esposizione, che formò, sia pure per pochi mesi, un vero e proprio villaggio fieristico, fece comprendere che l'area, per la sua posizione privilegiata di panoramico affaccio sul lago non poteva restare a lungo priva di insediamenti abitativi.

Dapprima, come abbiamo già raccontato in un'altra occasione, l'amministrazione comunale, spinta evidentemente dall'interesse di immobiliaristi, diede in concessione una larga fetta dell'area a un  costruttore privato perché realizzasse un intero quartiere di edifici di elevata qualità. Poi, visto che il quartiere non nasceva e che le società sportive chiedevano a gran voce che sorgesse uno stadio con palestre, piste e campo di gioco, il Comune retto da un commissario prefettizio diede un deciso colpo di timone. Era

giusto che venisse soddisfatta la necessità di disporre di uno stadio, affiancato da nuove sedi per le società nautiche. Ed ecco, dal 1925 al 1933, spostando altrove i bagni pubblici e il cantiere navale, spuntare uno dopo l'altro come funghi lo stadio, le sedi della Canottieri, del Circolo della Vela e della Motonautica, l'Aeroclub.

Lo spazio dei giardini non venne compromesso, ma si cercò di risistemarlo, con un piano per la verità fin troppo geometricamente ordinato dell'arch. Giovanni Greppi, in coabitazione con la nuova vasta area adibita alla pratica dello sport ed anche con un edificio museale, il Tempio Voltiano, collocato sul terreno della Rotonda.

Nel contempo, veniva praticamente soppresso lo scalo merci delle ferrovie inutilizzato dal declino del trasporto su imbarcazioni collegato ai treni.

In questo modo, veniva rispettata e addirittura sviluppata la vocazione ambientale originaria, ludico/turistica/contemplativa. Un elemento invece decisamente spiazzante nel contesto fu il Monumento ai Caduti: non più un luogo per l'allenamento sportivo o una visita museale, ma un sacrario per il raccoglimento e la preghiera, un ossario. Si sa come andò. In un primo tempo, nel 1926, la città e il comitato per le onoranze ai Caduti avevano deciso di creare un sacrario in pieno centro, a ridosso del Duomo, modificando l'interno del Broletto o corredandolo di un edificio aggiuntivo.

Ma il concorso per l'aggiudicazione dell'opera, vinto dalla coppia di architetti Asnago-Vender, non ebbe seguito. In un secondo tempo, scartata l'idea di inserire il monumento nel cuore della città murata, si puntò all'area rimasta libera accanto al Tempio Voltiano, quasi che la sua presenza potesse giustificare l'avvento di un altro sito della memoria, sia pure con diverse caratteristiche.

Per il nuovo tentativo vennero invitati a presentare progetti Giuseppe Terragni, giunto secondo con Lingeri al concorso del Broletto, Guido Ravasi (industriale-artista) e Cesare Mazzocchi (autore del palazzo Carducci).

Nemmeno le proposte di costoro convinsero i committenti e il podestà Negretti era in ambasce ancora nel 1930 quando a toglierlo dagli impicci giunse Marinetti, a Como per le celebrazioni di Sant'Elia. I leader del futurismo sfoderò come un coniglio dal cilindro l'idea di servirsi di un disegno dell'architetto morto sul Carso ed ecco il miracolo: il monumento sorse come d'incanto, prima con l'aiuto di Prampolini e poi con l'apporto determinante dei fratelli Terragni.

Un'opera importante e massiccia qual era il simbolo marmoreo dedicato ai Caduti determinò un riassetto di tutta l'area adiacente e anche del viale d'accesso, ribattezzato viale delle Rimembranze. Non solo, fece sì che mutasse di fatto la natura mista dei cosiddetti giardini, sempre meno verdi. A poco valse che nel secondo dopoguerra i giardini venissero ridisegnati  dall'architetto Mario Musa (sua è la fontana rocciosa) e addirittura ampliati, eliminando nel 1969 l'edificio ormai vuoto dello scalo merci e soprattutto facendo sì che la fascia a lago del settore ad est dei giardini formasse un tutt'uno con il percorso della passeggiata lungo tutte le sponde del primo bacino. Ma non erano trascorsi dieci anni da questo opportuno provvedimento che già si pensava ad una nuova costruzione memorialistica, che facesse il paio con il Monumento ai Caduti, il Monumento alla Resistenza Europea. Dopo aver bandito per questo scopo un concorso, conclusosi un'altra volta con un nulla di fatto, il monumento venne affidato ad un artista milanese, Gianni Colombo, indicato da una speciale commissione di esperti.

I progetti presentati da Colombo furono diversi, tenendo conto di varie ubicazioni, dai giardini di viale Geno alla diga foranea. Alla fine, non senza uno strascico di polemiche per la spesa, il nuovo monumento, a forma stellare e percorribile, venne inaugurato nel 1983 più o meno dove si trovava il vecchio scalo merci dal presidente Pertini, al quale non piacque proprio. 

Gli sforzi per mantenere viva la principale destinazione del giardino non mancarono. Il principale fu l'intelligente Parco Giochi creato dal Soroptimist nel 1958, su progetto di Luisa Parisi, e restaurato nel 1994 a cura dello stesso sodalizio. Sono poi da menzionare i vari chioschi per il ristoro, più o meno integrati nell'ambiente e la sistemazione del prati antistante il Tempio Voltiano. In questi ultimi anni sono state respinte richieste di privati per l'inserimento di altre strutture d'intrattenimento e svago, quali una specie di replica del Kursaal luganese e un acquario simile, seppure in proporzioni assai più ridotte, a quello di Genova. C'è stato anche un tentativo, progettato dagli architetti Noè e Saibene, di provvedere più radicalmente alla sistemazione dei giardini, estendendo la zona a verde, spostando i parcheggi nei locali al pianterreno dello stadio, e trasformando l'ultimo tratto del Cosia, convenientemente depurato e non più maleodorante, in un gradevole ruscello. Sogni, svaniti subito dopo un timido accenno informativo in cronaca.

Ciò che resta oggi di tanti interventi mai pianificati è un insieme di installazioni che convivono a fatica, non senza dissonanze, in un'area assediata dal traffico, semisoffocata dai parcheggi e insidiata dai vandali tanto che a periodi alterni riprende la discussione se, quanto e dove occorrerebbero recinzioni, protezioni, cancellate e telecamere. Con un degrado montante che si cerca di scongiurare periodicamente, ma senza poterlo sconfiggere.

Alberto Longatti

 

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