L'architettura ticinese 37 anni dopo "Tendenzen"
28 Nov 2012
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CONVIVIALE DEL 28 NOVEMBRE 2012
L'Architetto Alberto Caruso analizza i mutamenti dell'architettura oltreconfine

Nell'immagine: Giacomo Colombo, Damiano Cattaneo e Alberto Caruso


Relazione dell’Architetto Alberto Caruso – 37 anni dopo Tendenzen: come cambia l’architettura ticinese.

 


Trasferta a Cernobbio, ospiti di Damiano Cattaneo che ci ha dato appuntamento al bar “La Piazzetta”.  L’idea che ci siamo fatti è quella di un aperitivo, magari un po’ rinforzato (per usare un termine caro al nostro Franco Brenna); nell’accogliente locale veniamo invece rifocillati con affettati, antipasti caldi di verdure e un bel piatto di risotto con l’osso buco, cucinato – secondo il “naso” di Pomentale che sente il profumo di “gremolada” – come da tradizione. Torta e vini all’altezza del resto.

La breve trasferta all’abitazione di Elena e Damiano – la splendida “Casa d’affitto a Cernobbio” realizzata dal padre Cesare sul finire degli anni 30 - ci consente una rapida digestione, per affrontare con curiosità la relazione dell’Architetto Caruso.

L’architettura ticinese divenne famosa negli anni 70/80 in tutta Europa per il suo carattere innovativo; gli esponenti di quella generazione di architetti sono considerati tuttora grandi maestri. Sotto il profilo culturale, il Ticino aveva in pratica ignorato la modernità del 900 del resto d’Europa (se si eccettua l’esperimento del Monte Verità di Ascona che diede origine al termine “Balabiott”), mantenendo linee e materiali consueti. Con un ritardo di mezzo secolo, quindi, quando l’Europa tornava a recuperare la tradizione, il Ticino iniziò a guardare i primi moderni. Questo impulso aveva anche una ragione di tipo economico, legata allo sviluppo del dopoguerra che diede origine a grandi investimenti e infrastrutture pubbliche, soprattutto scolastiche.

Nel 1975 gli architetti si presentano alla mostra Tendenzen, al Politecnico di Zurigo. La stampa parlò di “scuola ticinese”, ma forse la definizione non è del tutto corretta; c’erano forti elementi comuni:

-    grande attenzione al rapporto uomo-sito (progettare in relazione con il suolo);

-    forte attaccamento al terreno (principio di gravità);-    linee geometriche pure;

-    grande cultura tecnica, tanto che era quasi annullata la differenzatra architetti e ingegnerima con differenze significative tra i rappresentanti della nuova corrente.

Con l’aiuto delle slides Caruso passa ad analizzare le opere dei più importanti architetti che emersero in quel periodo e che sono ancora oggi apprezzati.

Mario Botta – Adotta una geometria elementare, le facciate degli edifici non hanno finestre, la luce entra attraverso tagli. Utilizza materiali innovativi: il cemento che ricorda il sasso della tradizione, il mattone che rimanda all’architettura lombarda e il cemento-mattone, una via di mezzo tra i due. Completamente dimenticata la vecchia architettura.

Luigi Snozzi – Utilizza solo il cemento, con rigore minimalista e in un rapporto perfetto con i luoghi e il suolo. E’ teorico della “grande scala”, cioè tendere sempre alle relazioni (costruire gli edifici vicini uno all’altro). Il suo capolavoro è Monte Carasso, un esperimento innovativo che peraltro non ha avuto seguito; modificò il piano regolatore con solo 4 regole elementari, tra cui l’edificabilità sino al confine con il vicino.

Aurelio Galfetti – Fa esplicito riferimento a Le Corbusier, buchi e cemento. Il suo progetto più importante è a Bellinzona, dove ha realizzato impianti sportivi in un’area lungo il fiume, i cui servizi sono al piano terra di un lungo percorso che dalla strada porta appunto al Ticino.

Livio Vacchini – Il suo concetto era che la statica non è al servizio dell’architettura: lavorare sulla forma e sulla struttura deve essere un tutt’uno. La sua è un’architettura innovativa, di grande fascino e cultura, una sorta di razionalismo neoclassico. Adotta soluzioni interessanti per non alterare le linee dei fabbricati, come l’accesso a una palestra attraverso un percorso sotterraneo.

Nel decennio successivo gli allievi di questi quattro maestri hanno continuato a mantenere un’elevata qualità. Il linguaggio è mutato dopo la metà degli anni 90, con volumi deformati, elevati per escludere dalla vista le costruzioni vicine; non c’è più immediatezza con il contesto, anche perché nel frattempo il paesaggio è molto cambiato, si assiste al fenomeno della “città diffusa”.

Il Ticino vive una contraddizione: non ha grandi città, gli architetti appaiono in qualche modo frustrati e vanno alla costante ricerca delle stesse. Il territorio, secondo il concetto della “città diffusa”, ha abitazioni sparse che richiedono opere di urbanizzazione costosissime per inseguire gli insediamenti. Stesso problema per i trasporti, che genera l’espandersi di quello privato molto più economico. Le pianificazioni dei comuni sono unicamente di indirizzo, con una sorta di anarchia tra un paese e l’altro.

In generale si assiste a due tendenze: una è quella che punta a un’area forte insubrica, con Como e Varese; l’altra vuole “la città Ticino”, con un autonomo sistema produttivo di eccellenza e con rapporti più forti con il nord. Entrambe, comunque, accomunate da attenzione per l’ambiente. Caruso ritiene che il realizzando progetto Alp-transit potrebbe creare danni, causando lo spostamento di insediamenti.

A Zurigo si assiste al ritorno alla Città, con una progettazione di edifici nuovi e incentivi per l’adeguamento dei vecchi ai più attuali concetti di abitare, che coniugano il desiderio di privatezza con quello di socialità.

Oggi l’architettura sta vivendo momenti anche di sperimentazione, con i giovani spesso disorientati. La loro formazione è totalmente cambiata: prima studiavano a Zurigo e poi andavano a perfezionarsi all’estero; ora frequentano l’accademia di Mendrisio dove trovano docenti provenienti da tutto il mondo; questo mix di culture può creare qualche difficoltà. I progetti dei neo-architetti sono spesso criticati, soprattutto quando vengono meno alla regola svizzera di una geometria “ad angoli retti” per introdurre nuove forme. In compenso anche i vecchi architetti innovano non sempre in modo condivisibile, come nel caso di Elio Ostinelli, progettista de “L’uovo n’uovo” di Chiasso che ha fatto molto discutere.

Come potrà evolvere l’architettura ticinese non si sa: sicuramente oggi lo scatto potrà avvenire solo con un salto di scala, relazionandosi con il paesaggio in modo più omogeneo attraverso l’accorpamento di più comuni in sede di programmazione del territorio.

Il primo intervento è di Giacomo Colombo, da Presidente – che ringrazia il relatore e i Cattaneo per l’ospitalità – e da svizzero, cui non piace l’autostrada Chiasso-Gottardo.

Caruso a questo proposito motiva l’impatto più negativo a Chiasso con il fatto che da lì si è partiti a realizzarla; più si avanza a nord più è curato il rapporto con il territorio.

Fulvio Capsoni, dopo un’autonoma analisi dei contenuti della relazione – che non sempre condivide – fa rilevare come Caruso non abbia citato il Casinò di Campione d’Italia, una realtà totalmente estranea alla zona in cui è insediato, concludendo con un giudizio negativo su Mario Botta.

L’ospite Filippo Arcioni sottolinea una discontinuità tra la nostra architettura e quella ticinese; replica Caruso ribadendo che – se pur il territorio sia affine – in Italia la modernità non ha avuto lo stesso sviluppo del resto d’Europa, raggiungendo invece il Ticino – se pur con ritardo.

Pierpaoli pone rilievo al diverso atteggiamento adottato in Ticino rispetto a linguaggi decisi, che hanno trovato disponibilità pubblica (cita il castello di Bellinzona e lo paragona al tentativo di ristrutturazione del nostro Baradello, il cui progetto innovativo è stato bocciato), motivato da Caruso con la la maggiore vicinanza con la cultura nordica.

L’ospite Architetto Dinale, rifacendosi proprio all’Europa, pone l’attenzione al diverso criterio di programmazione: in alcuni stati, per esempio, il razionalismo è entrato attraverso un’attenta politica di pianificazione. Non concorda totalmente Caruso, che ritiene invece che anche da noi si lavori in questa direzione, se pur talvolta con risultati poco soddisfacenti.

Campana suonata da un po’ per coloro che hanno sveglie implacabili, mentre l’argomento riesce a interessare sino alla fine molti degli ospiti.

Grazie Elena e Damiano! Una.. gustosa e interessante serata.

Angela Corengia

 

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