Una tomba vuota. La vittoria del presente
05 Apr 2023

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RIUNIONE DEL 5 APRILE 2023


Riflessioni sulla Pasqua di Don Andrea Messaggi

 

Nell'immagine: Don Andrea Messaggi, Cesare Baj e Gianna Ratti



Pubblichiamo il testo della relazione anche grazie agli appunti trasmessi da Don Andrea Messaggi, che ringraziamo.

 

Una tomba vuota, la vittoria del presente. Sembrano due cose che interessano la Pasqua.

Il segno cristiano della Resurrezione è una tomba vuota che, per molti aspetti, è paradossale o quanto meno strano e impone una lettura. Se si guarda il segno che viene indicato sia nel Vangelo di Marco che in quello di Luca, gli Angeli indicano una tomba vuota. Fin dall’inizio, almeno evangelicamente, la Pasqua cristiana si caratterizza per una assenza totale di “reliquie”, non c’è niente, non c’è un corpo da toccare, non c’è un corpo da venerare. Se si ha in mente il passo evangelico, ci sono un sudario e delle bende, nessun corpo. Anche nelle cosiddette religioni del Libro qualche differenza si pone subito, perché l’Islam ha lo stesso concetto - per alcuni aspetti - di vuoto; in una moschea il vuoto è un segno per indicare la direzione della preghiera, la Mecca. Nell’ebraismo, almeno fino alla distruzione di Gerusalemme, il Tempio chiede invece una presenza fisica e c’è l’arca dell’Alleanza (una copia) con le Tavole, con le Leggi previste e c’è il Sancta sanctorum. Poi, nella tradizione giudaica, diventerà la Sinagoga, con l’armadio per custodire i rotoli della Legge, della Torà. Nella tomba vuota non c’è nulla di tutto questo. E’ dalla tomba vuota che poi proviene la seconda provocazione: sempre stando ai racconti evangelici troviamo la frase: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto”. La tomba vuota indica quindi un’assenza che rimanda ad una presenza, che però chiede immediatamente di mettersi in moto, di iniziare una ricerca che ha come spazio temporale non il futuro ma il presente. Ancora una volta, i racconti evangelici continuano a riproporre una presenza di Cristo risorto. A tal punto che quando c’è l’Ascensione, nel passo del Libro degli Atti in cui gli Apostoli e i Discepoli sono lì a vedere Cristo risorto che ascende alla gloria del Padre, la prima cosa che accade appena Cristo sparisce è un rimprovero degli Angeli agli Apostoli: “perché continuate a stare qui a guardare il cielo, andate a Gerusalemme”. Da una parte mi perdo in un futuro, guardo Cristo che ascende e aspetto che torni (immagine che spesso abbiamo), ma la risposta evangelica va in tutt’altra direzione: non perdete tempo a guardare il cielo, andate a Gerusalemme. Questa dinamica del presente non è banale, perché è il fondamento dell’esperienza cristiana. E’ vero che nella storia della Chiesa, ad un certo punto, c’è stata sicuramente una distorsione e si è spostato molto sul futuro l’ambito escatologico: “Perché devi fare il bravo qua? Perché andrai bene là”. E’ quello che abbiamo un po’ tutti in mente ma è sbagliato, o quanto meno distorto, perché dimentica una dimensione fondamentale dell’esperienza cristiana. Nel passo evangelico in cui Pietro domanda “cosa ci guadagniamo a venire dietro a te? Abbiamo lasciato tutto”, Cristo risponde “chiunque lascia la propria casa, i propri fratelli, i propri beni a causa mia, riceverà cento volte tanto qui in case, fratelli, oltre a persecuzioni e dolori adesso, e la vita eterna dopo”. Il punto di verifica non è la vita eterna dopo, ma è un centuplo ora. La prospettiva cristiana non è un futuro consolatorio, non è l’ipotesi di un’utopia, ma è il centuplo adesso, qua. La sfida della Resurrezione è proprio rimandare ad un presente: se Cristo risorto è presente adesso, allora vuol dire che la realtà adesso è interessante e non ti è data la possibilità di agganciarti ad un passato in maniera morbosa o sentimentale, non c’è una reliquia. La tomba vuota rappresenta un passato che non puoi possedere, così come i Vangeli non sono il racconto di un passato ma sono la testimonianza di una comunità che fa memoria di quello che è accaduto nel passato.

Il Cristianesimo, fin dall’inizio, resetta tutto, perché il segno è una tomba vuota. Non c’è niente. Che poi ci sia sempre la tentazione di andare su un‘utopia, su un passato, su un segno che confermi qualcosa, come la reliquia della Santa Croce, non ci deve interessare. Perché anche se ho un pezzo del vestito che portava Gesù nella Resurrezione, non ho la persona. E’ interessante che la dinamica sia una tomba vuota, che non permette di attaccarsi al passato ma ci rimanda a questa sfida sul presente, perché il luogo del Cristianesimo (almeno secondo la Pasqua) non è domani ma adesso, con il centuplo ed i caratteri dell’imprevisto. Come è accaduto quella mattina di Pasqua: le donne vanno al sepolcro, hanno già tutto il loro schema - dice così il Vangelo - per imbalsamare il corpo e prepararlo alla sepoltura. Non parlano della concezione religiosa, di dov’è l’anima ma si pongono il problema di spostare il masso dall’ingresso del sepolcro. Hanno una domanda estremamente pratica, non c’è nessuna attesa. Occorre un fatto nuovo, non previsto, perché si generi una domanda, perché altrimenti quelle donne hanno come dimensione della vita: chi ci toglie la pietra dal sepolcro? Giocando oggi sui termini, restando chiuse ad esempio in un’auto-concezione di sé di totale sudditanza al genere maschile, si sentono incapaci di spostare  la pietra. E leggendo questi brani del Vangelo nel giorno di Pasqua, ci accorgiamo che gli Evangelisti (tranne Marco per una ragione, ma anche parzialmente Marco), descrivono la Resurrezione di Cristo con una novità assoluta: a chi affida il Risorto il compito dell’annuncio? Alle donne: “Andate a dire a tutti: vi aspetto in Galilea”. Un Rabbino la considererebbe un’assurdità, perché ancora oggi la Torà dice che la testimonianza di una donna vale metà di quella di un uomo, quello che dice una donna non ha nessun valore. Ciò che accade è un fatto nuovo che cambia il presente e permette di uscire da uno schema culturale: la testimonianza è affidata a chi la cultura del tempo riteneva inaffidabile. Talmente nuovo che il Vangelo di Marco annota che le donne incaricate di questo compito se ne vanno in silenzio perché hanno paura. E occorre un fatto nuovo perché parlino.

La nascita degli ospedali è legata al Cristianesimo, perché solo l’interesse per il presente muove alla cura del presente: non stai bene, ti curo. Ci provo fino in fondo a curarti perché il luogo dove tu vivi è il presente. Tutto questo avviene per accenni nella Resurrezione, un fatto nuovo che irrompe nel presente e che infrange questa dualità in cui normalmente viviamo: o chiusi in un passato o prigionieri di un‘utopia futura. Invece il luogo della verifica è il presente. Mostrare le implicazioni di tutto questo, cosa voglia dire come energia di trasformazione del reale, come uno si butta nella realtà per questo è proprio, invece, interessante da documentare. Infine l’esempio, per quanto banale, di chi sperimenta che davvero la prima volta che si innamora è carico di energia ma non per un futuro, ma da spendere subito.

Due accenni tanto per lavorarci nella Pasqua.

Don Andrea risponde poi alle domande dei soci. A Capsoni (la tomba è il Mediterraneo) ricorda che bisogna avere la consapevolezza di non essere Dio: o mi limito a comportarmi coerentemente (non faccio più il bagno nel Mediterraneo perché i morti meritano rispetto), o lavoro per evitare che queste macro-ingiustizie succedano (mettersi in azione sul presente), con la certezza che non possiamo risolvere tutto.

Longatti osserva che per un Cristiano c’è un problema di visibilità: la Resurrezione nelle chiese non trova un segno. C’è la Natività, la Croce ma nessun riferimento alla “Tomba vuota”. Don Andrea conferma, ma cita il Papa che chiede di non restare attaccati a ciò che non da speranza: Questa è la più piccola delle virtù, ma porta in spalla le altre due: sperare fonda le radici sul presente, non sulle utopie.

Angela Corengia.

 

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