Covid - Rapporto su un'escursione nell'Ade e ritorno
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Cesare Baj: COVID - Rapporto su un'escursione nell’Ade e ritorno

Venerdì 30 ottobre: non mi sentivo troppo bene. Ero stanco e un po' affaticato nel fare le scale. Sabato 31 ho fatto la mia solita vita, ma ho incominciato a respirare male. La notte non ho dormito e la domenica 1 novembre sono peggiorato, con 38 e mezzo di febbre.

I siti dicevano di contattare il proprio medico curante, che però era introvabile.
Lunedì 2 novembre ho riprovato a contattare il medico: telefono perennemente occupato, ovvero staccato per eccesso di chiamate.
La mia consorte Roos va in ambulatorio personalmente per comunicare con il medico, ma in quel momento c'è il caos e torna a mani vuote.

Un paio di amici medici mi hanno risposto che se non avevo l'esito di un tampone in mano non potevano consigliarmi nulla.

La televisione diceva di non andare al Pronto Soccorso direttamente.

Infine a metà giornata è arrivato un consiglio utile: «Telefona al 112».

Solito suggerimento: «Contatti il medico curante». Cosa sempre impossibile. Alla fine gli ho detto «Signori, respiro veramente a fatica e sto peggiorando a vista d'occhio. Ditemi che devo fare.»

Finalmente la prima risposta produttiva: «Va bene, la mettiamo in contatto con il 118». Trasferita la chiamata, l’addetto mi ha chiesto un paio di dati e l'indirizzo; «OK arriviamo».

Dopo 20 minuti l'ambulanza è arrivata e il responsabile, in contatto diretto con l'accettazione
del Sant'Anna, ha abbozzato una primissima valutazione: «Di febbre ne ha poca, ma la saturazione è bassa. Dice che respira a una frazione della capacità e che fa sempre più fatica».

«Va bene, portatelo.» Evidentemente un posticino c'è. Se mi fosse successo nella prima ondata sarei certamente morto, data la scarsità di posti, magari per dare giustamente la precedenza
a un quarantenne con moglie e figli piccoli a carico.

E per fortuna che mi hanno accettato. Arrivato al pronto soccorso mi hanno fatto subito una radiografia: «Lei è molto grave. Se fosse venuto domani non ci sarebbe stato nulla da fare».

Mi hanno messo subito un casco e qui è incominciata per me una fase di confusione con i tempi
e gli avvenimenti.
Non so quanto tempo dopo è arrivata una psicoterapeuta, una gentilissima signora con funzioni
in qualche modo dirigenziali alla quale ho subito chiesto di farmi una promessa.

Dopo aver dichiarato che sono un estimatore di Epicuro e che come tale per me la morte non esiste, mi sono raccomandato di non indulgere in alcun accanimento terapeutico: «Non aspettate di vedermi rantolare per staccare la spina. Fatelo e basta».

Risposta. «Non si preoccupi, nel caso non si accorgerà di nulla. Ora dobbiamo addormentarla.»

Dietro la psicoterapeuta compare un prete, che evidentemente arriva in presenza di casi gravissimi, che incomincia a preparare il rito dedicato ai moribondi.
Ricordo confusamente tutta la fase pre-intubamento. Ho chiesto se avessi avuto 15 minuti,
mi hanno detto di no: 3-4 minuti. In quei minuti ho scritto malamente a mano alcune ultime volontà su qualche foglio di carta, pregando la psicoterapeuta di darli alla famiglia.

Poi è incominciata l'escursione verso un territorio ignoto a tutti, in cui io ero ridotto a una mente incosciente. Dico incosciente ma non è per niente così.

Mi hanno infatti tenuto sedato con cocktail di morfina ed altre sostanze con un evidente effetto allucinogeno, tale da portarmi in un mondo immaginario costruito completamente dalla mia mente, ma vissuto nel modo più realistico che si può immaginare.

Tanto realistico che per mesi dopo il risveglio ho avuto un bel daffare per capire che cosa ho vissuto nel mondo reale e cosa solo nella mia mente.

Vediamo intanto brevemente cosa è successo nel mondo reale.

La mia situazione era gravissima e più volte è stato detto alla mia famiglia che non c'erano speranze. Hanno telefonato a mio figlio di venire a firmare per la donazione degli organi - peraltro senza sapere che nel mio portafogli porto da 40 anni una dichiarazione firmata in questo senso.

Altra informazione giunta ai parenti per vie traverse: non abbiamo l'eutanasia in Italia, quindi stiamo aspettando che ceda il primo organo e che la natura faccia il suo corso.

Una storia parallela, che meriterebbe un'altra relazione, riguarda i quasi cinque mesi vissuti da Roos in completa solitudine, a casa, in zona rossa, inizialmente con informazioni frammentarie,
poi con informazioni tragiche e un sacco di gente che telefonava per chiedere informazioni che lei stessa non aveva. Altra gente sapeva cose che nessuno aveva detto a lei, ma di fonte ignota o incerta. Un incubo.

A un certo punto, in un tempo relativamente breve, un miglioramento, seguito da peggioramenti
e miglioramenti ciclici, visto che da intubato mi sono arrivate le infezioni quasi inevitabili
in ospedale: polmonite doppia e setticemia.

Leggere la mia lettera di dimissioni fa impressione per la quantità di operazioni a cui sono stato sottoposto, come il drenaggio di litri di liquido dai polmoni, l'essere stato girato, da intubato,
per 13 volte e una quantità di farmaci per tenermi man mano sotto controllo.

Infine è arrivata – sempre me sedato – una stabilizzazione delle funzioni vitali, seguita da un progressivo miglioramento.

Potrei chiedere la cartella clinica, ma mi dicono che è una massa enorme di dati. Questo anche per ricordare con quanta cura sono stato seguito e curato, pur in una situazione generale stressatissima per la struttura sanitaria, che merita veramente un plauso.

Quando sono tornato a uno stato di coscienza ero in un letto con medici e infermieri attorno.

Non mi ricordavo quasi nulla di ciò che era accaduto prima dell'intubazione, tanto che ho scoperto di essere stato intubato due mesi dopo il risveglio.

Nei mesi passati nel reparto di terapia intensiva ho dormito poco o nulla e mangiato altrettanto poco, non riuscendo a ingurgitare le pappette tipo nipiol che mi davano, ma sono comunque guarito dal covid e a poco a poco anche dalle altre malattie prese in ospedale, perdendo 22 chili
di peso.

Tracheotomizzato, la sofferenza maggiore di quel lungo primo periodo è stata l'impossibilità di parlare, con i conseguenti goffi tentativi di farmi intendere con il labiale, ma con scarsissimi risultati. Mi era impossibile anche scrivere per la mancanza di forze e il tremore costante alle mani.

A un certo punto con le unghie ho ritagliato da un tovagliolino di carta la forma dell'oggetto che desideravo, che era un paio di forbici, ma la forma non mi è venuta bene e ho buttato via tutto.

Ho avuto vari momenti di difficoltà respiratoria. Nel più grave a ogni inspirazione partiva una tosse irrefrenabile. Fenomeno continuo che non faceva giungere ossigeno ai polmoni.

Non potevo avvisare nessuno non avendo - da tracheotomizzato - la voce ed essendo assenti,
nel reparto di terapia intensiva, i campanelli di chiamata. Confesso che ho strappato dal mio petto un paio sonde di controllo del battito cardiaco, cosa che ha fatto scattare un allarme nella centrale e l'arrivo di assistenza. Evento inteso come casuale distacco dovuto a un movimento nel letto
del paziente. Ma intanto sono intervenuti sulla respirazione.

Il passaggio da un ambiente ossigenato alla respirazione normale è stato lento. Grande soddisfazione quando hanno definitivamente staccato l'ossigeno.

E ancora più grande soddisfazione la conseguente rimozione della tracheotomia e il poter ricominciare a parlare. Una vera rinascita. Per la felicità raccontavo la mia vita a pezzi
alle infermiere.

Il 9 gennaio ho finalmente avuto esiti di vari esami che hanno attestato che nel mio corpo
non c'era più traccia del virus. Il più curioso – se ho capito bene – è stato la coltivazione o allevamento di virus covid nel muco estratto dal mio naso, che ha confermato che i miei anticorpi erano capaci di sconfiggere l'intruso.

Tra tutto, nei 4 mesi e mezzo tra tamponi e altro, ho fatto decine di test e da quel giorno sono stati tutti con esito negativo.

A metà gennaio sono stato quindi trasferito a Cantù, nel reparto di medicina normale, e lì mi sono sentito in paradiso. Mangiare cibo vero, maccheroni, bistecche da tagliare e mangiare a bocconi, anche se inizialmente imboccato dalle infermiere. E dormire tranquillo senza tutti i rumori naturali e artificiali che impedivano il sonno nel reparto di terapia intensiva.

Poi la riabilitazione a Menaggio. Finalmente la luce in fondo al tunnel. Nel viaggio in ambulanza
ho pensato che in una quindicina di giorni mi avrebbero rimesso in sesto. Fatti i primi due o tre esercizi di riabilitazione mi sono detto: «Qui prima di sei mesi non esco». Infatti ero come una bambola di pezza. Non riuscivo nemmeno a stare seduto su letto. Altro che in piedi: totale mancanza di forze e di equilibrio.

La bravura dello staff e una volontà ferrea di superare gli ostacoli che man mano si presentavano hanno fatto durare la riabilitazione un mese e mezzo.

Ogni giorno una piccola conquista. La prima volta in piedi con il deambulatore, poi con il bastone, poi senza nulla. La prima volta capace di dedicarmi alla cura del corpo da solo. La prima volta che sono riuscito a stare in piedi su una gamba sola per 10 secondi. Soddisfazioni enormi.

Finché è arrivato il momento della dimissione, che per quanto mi rendesse felice, mi dava anche un certo timore. In fondo l'ospedale, con l'abitudinarietà di quel che si fa e il distacco dal mondo
è come una specie di utero materno. Sensazione amplificata dalla dedizione e dall’affetto che
il personale medico e infermieristico ha per i pazienti, a un livello che è difficile da credere.
E oltretutto la fuori c'è un mondo da affrontare che non è dei più facili.

Nel viaggio verso casa ho proprio avuto la sensazione che una parte della mia vita si era conclusa
e che ne stavo per affrontare una del tutto nuova e diversa.

Ma ora veniamo alla parte più interessante di tutta l'esperienza: la fase allucinatoria durante l'intubazione. Ora dico allucinatoria, ma quel che sto per raccontarvi è come se l'avessi vissuto veramente in ogni secondo e me lo ricordo nei minimi dettagli.

Come ho già detto, ho impiegato mesi a capire che cosa ho vissuto veramente e che cosa no
e ancora oggi emerge di tanto in tanto qualche falso ricordo che richiede un controllo.

Per esempio la settimana scorsa ho scoperto che Biden aveva vinto dopo la riconta dei voti in varie contee.
Io invece avevo visto in TV, con tanto di interviste e dichiarazioni – sempre nelle mia mente –
che la Corte Suprema, data la confusione dei conteggi di quelle elezioni, le aveva annullate

e indette di nuovo dopo tre settimane con il sistema "una testa un voto", abolendo il sistema
dei grandi elettori. Cosa verosimile e secondo me auspicabile per gli Stati Uniti, ma puro frutto della mia mente.

Ma passiamo alle avventure vere. La più estesa nel tempo e complessa mi ha visto protagonista
in un complotto internazionale i cui protagonisti erano:

● Il Cardinale Bertini, a capo della Fondazione Tolomeo Gallio.

● Il nipote del cardinale, che chiamerò anche "il ragazzo", con sua moglie e i due figlioletti.

● Un cardinale di quelli che stanno molto antipatici a papa Francesco; parlo di quelli che dai loro attici manovrano ingenti interessi finanziari internazionali, nella più rigorosa non-trasparenza
e in assenza di organi di controllo.

Intanto un plauso a papa Francesco che proprio negli ultimi mesi ha smantellato uno di questi centri deviati di potere.

Il nome di questo cardinale non me lo ricordo; chiamiamolo Cardinale X.

Ecco gli altri due protagonisti:

● Una potentissima tecnologicamente avanzatissima cosca mafiosa siciliana, rappresentata
in questa storia da una persona il cui nome non verrà mai pronunciato nel corso della vicenda
e che chiameremo Signor Alfa.

● Il sottoscritto.

Il fatto è che il Cardinale Bertini, persona di alta cultura e specchiata moralità, si è trovato ai vertici della quasi ignota Fondazione Tolomeo Gallio, che pochissimi sanno essere depositaria fin
dal Cinquecento di un immenso patrimonio, costituito essenzialmente da oro.

Ricordiamo che il cernobbiese Tolomeo Gallio, nato nel 1527, costruì quella che oggi conosciamo come Villa d'Este e il Palazzo Gallio, a Gravedona, che avrebbe dovuto ospitare il Concilio Ecumenico che fu poi tenuto a Trento.

Ma fondò anche, con bolla papale Immensa Dei Provvidentia, il Collegio Gallio e ne affidò
la conduzione ai Chierici regolari di Somasca, ordine fondato da Girolamo Emiliani, poi fatto santo, dedito all'educazione e sostentamento della gioventù abbandonata.

Ma torniamo a oggi e alla mia seconda vita immaginaria. Per vicende interne alla Fondazione Tolomeo Gallio, un ente orma rarefatto e inoperante da decenni, il Cardinale Bertini, settantottenne, si è ritrovato depositario personalmente del patrimonio della fondazione.
Una bella responsabilità, dato che stiamo parlando di un valore di 1.265 miliardi di euro.

Il cardinale, buon conoscitore delle dinamiche vaticane e molto sensibile al tema dell'educazione dei giovani, ha così deciso di trasferire questa enorme ricchezza alla Fondazione Somaschi onlus, che esiste per davvero nel mondo reale, finanziariamente indipendente e incondizionabile
dal Vaticano, con una serie di vincoli che avrebbero garantito che i fondi sarebbero sempre stati utilizzati nei secoli a venire per gli scopi istituzionali dell'ente – accoglienza, assistenza
ed educazione dei giovani - e mai trasferiti ad altri enti. Il trasferimento era stato stabilito avvenisse presso un notaio di Como.

Come si può immaginare, in Vaticano c'era chi curava da tempo segretamente la Fondazione allo scopo di impadronirsi di quel patrimonio e la decisione del Cardinale Bertini, imprudentemente confidata a un altro cardinale, non era cosa accettabile per una di quelle fazioni di alti prelati
che – dicevamo – sono antipatici a papa Francesco.

Il Cardinale X contava infatti di convincere il Cardinale Bertini a far confluire il patrimonio in una sua congregazione per la diffusione della fede, ma che gestiva in realtà case di cura di lusso, resort e golf club in paradisi fiscali e patrimoni immobiliari di lusso a Londra e nelle principali capitali
del mondo, nella buona tradizione avviata qualche decennio prima dal Cardinale Marcinkus. Ma le cose gli stavano fuggendo di mano, cosa che richiedeva di intervenire.

Venendo a me, passo a parlare al presente, un tempo del verbo che rispecchia la vivezza della mia esperienza.

Mi trovo a Stoccarda, alla Fiera del Giocattolo, la Spielmesse, un luogo da me frequentato molte volte nella vita reale, e sono ospitato, grazie all'Associazione Italiana dei Fabbricanti di Giochi
da Tavolo, in una bellissima tenuta appena fuori città. Proprio prima di andare in ospedale avevo fatto a tempo a mandare in produzione un gioco da tavolo matematico che ho progettato e prodotto dopo due anni di studi e lavoro assieme alla facoltà di matematica della Bocconi. Da qui l’ambientazione iniziale di questa storia.

La prima sera incontro una coppia di italiani sulla trentina, molto distinta; belle persone, colte, piacevoli, e facciamo amicizia. Incomincio a parlare di giochi immaginando che siano anche loro coinvolti nel settore, ma mi hanno detto che erano lì di passaggio, non per la fiera.

Il giorno dopo rientro dalla fiera e, da curioso che sono – quando salgo su una nave la vado
a ispezionare tutta, ponte per ponte – mi aggiro per l'albergo, ricavato da un palazzo nobiliare settecentesco, finché, in un'ala secondaria, aprendo una porta, mi accorgo di essere entrato
in una saletta per riunioni.

Sorpresa. Chi vedo? I due ragazzi, con altre due persone, vestite distintamente. Loro non nascondono la sorpresa di vedermi entrare. Io saluto e mi scuso immediatamente, dicendo
che avevo sbagliato porta, e me ne vado.

La mattina dopo incontro nuovamente il ragazzo e sua moglie in partenza. Nessuno accenna all'incontro fortuito del giorno precedente e anzi mi danno il loro biglietto dicendo che stavano organizzando una festa particolare sul Lago di Ginevra e che avrebbero avuto piacere di avermi come ospite. Io dò loro il mio biglietto e tanti saluti.

Dopo una settimana circa ricevo l'invito ufficiale alla festa, comprendendo che si tratta di cosa
di altissimo livello e molto esclusiva.

Accetto e all'arrivo mi vergogno quasi di trovarmi su una Smart FourFour che era probabilmente
di tre categorie inferiore all'auto di uno sguattero di cucina di quel posto.

La residenza è a mezza costa, con un salone alto quattro piani e una vetrata alta altrettanto che dà sull'intero Lago Lemano. La visione notturna, con i paesi e città illuminate a perdita d'occhio,
è mozzafiato.

Interni di lusso mai visti. Bellissime giovani donne qua e là, accompagnate da uomini che non hanno l’aria di essere i loro mariti.

Vengo accolto dal nipote del Cardinale Bertini, il ragazzo, accompagnato da una delle due persone che avevo visto a Stoccarda nel salottino. È il Signor Alfa. «Andiamo a bere qualcosa», mi dicono.

Qui si verifica la prima incongruenza temporale. I due spariscono e mi trovo solo in quel posto.
Va beh, vado a quella che appariva come una cassa e ordino un cognac. Lo scontrino che mi porgono porta la cifra di 320 euro. «Capperi!» Comunque pago con la carta e dopo qualche tempo riappaiono i due, seguiti da altri due con il vago aspetto di guardie del corpo. Andiamo a sederci, viene ordinato da bere e parliamo del più e del meno per un po’.

Poi il buio.

Mi risveglio in pieno giorno, nello stesso salone, deserto, su un divano. Presenti solo il ragazzo,
il Signor Alfa e i due accompagnatori.

Mi sento strano, un po' obnubilato. Il loro atteggiamento è cambiato molto rispetto alla sera prima. Sono molto seri e leggermente aggressivi.

Il ragazzo mi dice: «Non è stata una bella idea entrare in quella saletta a Stoccarda. Ma ormai è fatta e ora ti spieghiamo. Può interessare anche te comunque».

Prende la parola il Signor Alfa, che si rivelerà essere uno dei massimi esponenti della più potente
e segreta cosca mafiosa siciliana.

«Ieri ti abbiamo addormentato e ora ti ritrovi nel cervello e nel corpo alcuni oggetti, che sono microchip, trasmettitori e altri elementi di una tecnologia non ancora in circolazione che solo noi usiamo nel mondo. Diciamo che sei controllato ogni istante in quello che fai e che dici o scrivi e c'è qualcuno in una nostra centrale che effettivamente lo fa.
Dando un comando possiamo ucciderti in un secondo grazie al microchip che hai nel cervello. Inutile nasconderti o cercare di isolarti. Sappiamo sempre dove sei, cosa fai, cosa dici, cosa scrivi sui tuoi apparati.

Ascolta bene: se mai parlerai con chicchessia di questa cosa, delle persone che hai visto
a Stoccarda, di noi e di questo incontro sei morto. La persona con cui parlerai morirà poco dopo.

Ma ora viene la parte bella. Puoi fare qualcosa per noi e così come siamo molto cattivi con i nostri nemici, siamo molto generosi con i nostri amici.

Non ti spieghiamo come, ma nell'arco di sei mesi / un anno potrai essere identificato come
un possibile testimone della riunione nel salottino di Stoccarda, cosa che, se risaputa, manderebbe all'aria un nostro progetto. È quasi certo che succederà e i servizi segreti tedeschi, in accordo
con quelli italiani, e le magistrature dei due Paesi presto si dedicheranno alla cosa.

Interrogato, dovrai dire che a Stoccarda hai incontrato il ragazzo e sua moglie e, anzi, che hai fatto amicizia e sei stato tutta la sera con loro nella loro suite, ma non dovrai mai accennare né
al salottino né alle altre due persone che hai visto.

Preparati, perché saranno molto insistenti. Ci eserciteremo insieme per le risposte.

Dulcis in fundo, se fai come dico c’è un premio per te. Stenterai a crederlo, ma sarà di 50 milioni
di euro al mese fin che campi.»

Strabuzzo gli occhi, ma capisco che se avessi rifiutato probabilmente sarei stato ucciso. Intanto ho cercato di avere più informazioni.

Io: «Non è che dopo questa operazione, potendomi controllare e ricattare, mi farete fare altre strane cose?»

Lui: «No, questa è un'operazione unica. Se fai come ho detto vivrai felice e contento per il resto dei tuoi giorni».

Io: «Scusate, ma il bonus mensile di 50 milioni di euro pare un'esagerazione, quasi incredibile.
Se uno fosse disposto a procedere come avete detto basterebbe anche molto meno. Fareste prima a liberarvi di me dopo la testimonianza».

Lui: «No perché questo desterebbe sospetti. Siamo certi che a te presente nell'albergo
in Germania arriveranno. Quindi non puoi sparire.

Poi considera che a te sembra tanto ed è tanto, ma ti abbiamo promesso una percentuale infima del valore dell'affare, pari per noi allo 0,05% annuo del capitale.
Considera che siamo abituati a rendimenti dei nostri investimenti che valgono dal 30 al 300%
del capitale. Quindi che vuoi che ci importi della frazione infinitesima che diamo a te?

Non ammazziamo per piacere. Ci interessano gli affari fatti bene. Siamo molto evoluti rispetto
ad altre organizzazioni e non ci piace la violenza gratuita.

Inoltre siamo grati ai nostri amici e pronti anche a maneggiare i loro soldi, se lo gradiscono,
con un rendimento annuo garantito, diciamo del 25%. Ora a te la decisione».

Io: «In realtà non mi pare di avere scelta».

Lui: «La scelta ce l'hai sempre, ma per il tuo bene ti consiglio molto vivamente di accettare».

Penso tra me «Va be', poi vedremo il da farsi». E intanto gli dico: «Va bene, accetto».

Il Signor Alfa con cui sto parlando, dopo qualche secondo mi dice «Hai sentito il bling?»

Io: «Sì, ho sentito un bling; mi sembrava uno dei vostri telefoni».

Lui: «No, lo hai sentito solo tu. Prova a guardare di fianco alla tua gamba sinistra».

Guardo e vedo come un corpo affusolato e un po' nebuloso alto una ventina di centimetri,
di un colore che dà al ceruleo. Qualcosa si muove dentro, come se fosse un liquido o un gas.

«Non preoccuparti, è il sistema di contatto permanente con la nostra organizzazione. Quella cosa la vedi solo tu. Una tecnologia nuova che non ti sto a spiegare. Quella che ci permette di tenerti sotto controllo. Ma può essere utile anche a te. Ti basta bisbigliare e hai una persona, una fedele servitrice, che dalla centrale ti assiste per qualsiasi tua necessità.

Prova a chiedere qual è il saldo del conto che ti abbiamo aperto in una banca virtuale inaccessibile a qualsiasi organo di controllo.»

Provo e la risposta è: «50 milioni di euro».

Lui: «Il bling era il nostro primo versamento, partito quando hai detto ‘Accetto’». Prova a trasferire la cifra che vuoi a chi vuoi.

Provo, una piccola cifra per non fare qualcosa di troppo anomalo. Bisbiglio il nome del beneficiario e l’importo. Dopo poco sento un altro bling, di tonalità diversa.

Mi porge una busta. È una carta di credito speciale per i bisogni immediati. «Qualsiasi sportello del mondo erogherà la cifra che vuoi finché ha contanti nel serbatoio. E tu non sarai mai identificato.

Hai bisogno di andare a Seattle? Bisbiglialo e l'assistente ti procurerà una macchina alla porta in dieci minuti e un aereo privato nel più vicino aeroporto. Vuoi comperare una tenuta in Kenya? Riceverai proposte in giornata. Qualcuno ti sta antipatico? Basta dirlo. Così trattiamo noi stessi e gli amici.»

L'incontro finisce e mi trovo in Italia in macchina.

Intanto penso a come potrei affrontare l'interrogatorio con i servizi o la magistratura italiana
e tedesca.

Provo a cercare una giustificazione, se dovessi procedere sulla strada indicata dal Signor Alfa, pensando che se l'oro della Fondazione si era accumulato nel XVI e XVII secolo era certamente frutto del genocidio dei popoli amerindi e della razzia di tutte le loro ricchezze, fatto storico ben noto e quantificato. Quindi il patrimonio era comunque quasi certamente frutto di eventi per
i quali a distanza di tempo anche lo stesso Giovanni Paolo II avrebbe chiesto perdono all'umanità
a nome della Chiesa Cattolica.

A questo proposito vi segnalo il bel libro della Piemme Il Papa chiede perdono – memoria
e Riconciliazione – La Chiesa e le colpe del passato
, che riporta il testo integrale del discorso
del Papa in occasione del Giubileo del 2000 e commenti di vari uomini di cultura cattolici.

Ma mi rendo subito conto dell'ipocrisia che sta alla base di questo pensiero. Fare bellamente qualcosa di male perché qualcuno secoli fa ha fatto peggio non può essere una scusante.

Tra l’altro sono un sostenitore che non si possono applicare concetti morali di un'epoca a eventi
di altre epoche, tema reso di attualità dal recente abbattimento delle statue di personaggi implicati nella storia della colonizzazione, in nome di una presunta political correctness.

Inoltre, quale che fosse l’origine, quel patrimonio era poi stato gestito dalla Fondazione per opere altamente meritorie, come probabilmente lo stesso Collegio Gallio e tante altre.

Poi mi viene in mente che potrebbero dirmi che mento per favorire determinate correnti cardinalizie, dal che è verosimile che avrei tratto anche un vantaggio economico. Mi vedo già davanti a un magistrato che mi assicura che sarò curato a vista a vita per ogni movimento di soldi che mi riguarda, con le manette pronte a scattare.

Lì potrei rispondere che sono stato allevato da una madre protestante valdese e quindi che non ho motivo per favorire alcunché in Vaticano. Per avvalorare la tesi, che è vera nella vita reale, potrei portare un libro, che è un Vangelo del 1838 della comunità valdese piemontese. Opera rarissima, fu stampata in poche copie a Londra e fatte giungere clandestinamente a Torre Pellice, allora Regno di Sardegna. Infatti non ancora stato promulgato l'editto per l'Emancipazione delle Comunioni Acattoliche di Carlo Alberto, che arriverà nel 1848 e farà cessare le discriminazioni
e persecuzioni dei fedeli di confessioni diverse dalla cattolica.

Il libro presenta il testo in francese e il testo a fronte in patois, il dialetto delle valli del Piemonte sudoccidentale, le cosiddette Valli Valdesi, la principale delle quali è appunto la Val Pellice. Libro che pochissime storiche famiglie valdesi possiedono. Libro che è effettivamente nelle mie mani nella vita reale. Chi conoscesse il dialetto piemontese potrebbe trovare interessante leggere
la parola di Dio nel suo dialetto.

Dentro di me non so veramente che cosa dirò al magistrato. Ho tempo per pensarci.

A questo punto vivo una serie di avventure secondarie sulle quali non mi dilungo e infine vengo invitato in una tenuta in Toscana, in cui sono presenti il nipote del Cardinale Bertini, il Signor Alfa
e varie persone che capisco che appartengono all'organizzazione mafiosa.

Ormai parlano apertamente, considerandomi assoldato e fedele, ben sapendo che se non lo fossi morirei all'istante.

Dai discorsi intuisco che il Cardinale Bertini il giorno dopo andrà dal notaio a Como con un aereo privato per trasferire i fondi alla Fondazione Somaschi e che la mafia ha organizzato il sabotaggio dell'aereo, così come fece per Enrico Mattei.

Il piano è far ereditare i 1.250 miliardi di euro al nipote del cardinale, cosa che avverrebbe
se il Cardinale Bertini scomparisse prima di aver firmato il trasferimento a favore della Fondazione.
E dividere il malloppo tra il nipote, il Cardinale X e la cosca mafiosa.

«Caspita, vogliono tirare giù l'aereo» - mi dico - e la cosa non è che mi piaccia.

Organizzatissimi, controllano segretamente la compagnia di jet privati che porterà il Cardinale Bertini da Roma a Milano Linate.

Ora mi trovo con loro in un piccolo aeroporto e assisto al sabotaggio dell'aereo. Un motore esploderà in volo.

Scopro che l'equipaggio è fatto da un pilota esperto e da una copilota ragazza appena assunta,
ai suoi primissimi voli da professionista.

La cosa mi piace sempre meno e ora metto bene sulla bilancia i pro e i contro.

Il pro è un'incredibile ricchezza, che potrei usare a fin di bene, non avendo speciali necessità personali di spendere, se non in libri e viaggi culturali e qualche passatempo come il volo. Pochissima roba se confrontato al fiume di denaro che sarebbe arrivato. E penso alle associazioni che potrei finanziare e alle iniziative benefiche che potrei avviare.
L'oro dei Maya, pur a costo di una serie di ingiustizie e il sacrificio di una moltitudine di persone, potrebbe continuare ad avere, almeno in parte, una destinazione utile all'umanità.

I contro però sono tanti.

Uno: l'azione è comunque altamente immorale e gli interlocutori gente abbietta.

Due: lo stroncare sul nascere la vita di una giovane pilota piena di speranze è un'idea ributtante.

Tre: sono un ex allievo del Gallio – per inciso, i metodi dei Somaschi erano compatibili con le idee della mamma valdese, cosa che non sarebbe accaduta con altri ordini che gestivano scuole
e collegi, che negli anni cinquanta erano in parecchi casi dei piccoli lager –. Agire contro il Collegio Gallio sarebbe come rinnegare una parte della mia vita e il tradimento di un'istituzione che stimo.

Quattro: non saprei come gestire l'enorme quantità di soldi in arrivo, salvo scomparire dalla città, dalla nazione e dalla vita a cui sono abituato.

Cinque: l'idea di oltre mille miliardi di euro divisi tra un cardinale corrotto, la mafia e un ragazzo rammollito e depravato è altrettanto ributtante.

Insomma sono sempre più orientato a non dare il mio apporto a tutto questo affare, ben sapendo che la cosa potrebbe avere conseguenze.

Rientriamo alla villa e, dopo cena, mi sento di nuovo strano. Per sicurezza, essendo prossima l'operazione, mi hanno nuovamente drogato per non avere elementi di disturbo nell'esecuzione dell'operazione.

Mi chiudono in una stanza senza finestre o uscite. Curiosamente non mi prendono il telefono.

Bene, salto il fosso e cerco di telefonare a ENAC per avvisarli della cosa, ma mi sento annebbiato
e non riesco a comporre il numero. Provo a schiacciare il tasto della app con il simbolo
dei Carabinieri che ho sul telefonino, ma perdo conoscenza.

Mi risveglio in pieno giorno su un vasto terrazzo della villa e sento camerieri che parlano
di un incidente aereo. L'aereo è caduto e tutti i presenti a bordo sono morti.

Nella villa tutti sono ripartiti. Un tizio mai visto prima mi dice che tutto è andato come previsto
e che sarei stato contattato più avanti per gestire la mia testimonianza. «Grazie e arrivederci.»

Mi avvio verso Como, ma non so perché facendo una strada strana. Fatto sta che sono nel porto
di Trieste.

Ormai ho deciso di rompere le uova nel paniere agli organizzatori del complotto e di parlare.
In ogni caso non potrei vivere il resto della vita con cose strane nel corpo e supercontrollato
da altri. Una vera prigione a cielo aperto.

Ma controllato come sono non posso parlare, non posso usare il telefono né il mio computer portatile.

Lascio la macchina al parcheggio e vado a trovare i miei amici dello Yacht Club Trieste, che varie volte mi avevano dato assistenza quando ero arrivato con l'idrovolante, fatto vero nella vita reale.

Dico che sono di passaggio, che avrei dormito a Trieste e che avrei cenato volentieri al Club.

Intanto scrivo con una matita su un pezzo di carta: “Emergenza. Non posso spiegare ora.
Per favore dammi l'accesso a un computer continuando a parlare normalmente del più e del meno”.

Arrivo al computer e apro la casella di posta di un'associazione fossile, che non uso da anni. Funziona. Le mail del Corriere di Como, della Provincia e del Corriere della Sera le conosco. Reperisco su internet quelle di Repubblica, dell'ANSA e dei Carabinieri e scrivo velocemente un comunicato.

“L'aereo del Cardinale Bertini non è caduto. È stato abbattuto. Mandanti: il nipote e il Cardinale X. Esecutori: la mafia. Ho assistito come testimone ad alcune fasi del complotto, in cui sono stato senza volerlo coinvolto, a partire da una riunione a Stoccarda tra i nipoti del Cardinale Bertini,
il Cardinale X e un esponente della mafia. È quasi certo che entro brevissimo tempo sarò morto, quindi accontentatevi di questa dichiarazione.”
Schiaccio Invio.

Aspetto davanti alla televisione del Club nautico e dopo un paio d’ore sento: «Interrompiamo
il programma per una notizia straordinaria dell'ultima ora...». La notizia finisce con la scena
dei carabinieri che irrompono a casa dei nipoti del Cardinale Bertini e li trovano morti suicidi con
i bambini che piangono. Si parla di una interrogazione parlamentare per avere dal Vaticano chiarimenti sull'accaduto. Della mafia non si parla.

Suona il telefono: «Bravo, hai voluto fare a modo tuo. Sai che cosa significa per te?» E sento nella mia testa come un gonfiore e un suono come quando saltavano le lampadine a filamento.

Ma non succede nulla.

Incredibile. Qualcosa non ha funzionato, almeno per il momento. Chiedo di venirmi a prendere con un'ambulanza per portarmi all'ospedale e vedere che cose strane ho nel corpo. Spero di fare in tempo.

Il giorno dopo i giornali sintetizzato la storia e riportano che il fondo in questione verrà trasferito alla Fondazione Somaschi, in osservanza delle ormai dimostrate ultime volontà del Cardinale Bertini, cosa che mi rende felice.

Resta in sospeso la mia posizione di “morto che cammina”, dato che mafia non è certamente contenta di quel che ho fatto. Il pensiero oppressivo di cosa fare e come sottrarmi a un destino infausto non mi lascia un istante.

E qui sono stato svegliato.

Questa storia è la più complessa che ho vissuto. Potrei raccontarne altre, ma di minore interesse.
Ho vissuto fasi della degenza che sono poi chiaramente risultato di allucinazioni e che faccio ancora oggi fatica a distinguere dalla realtà che ho vissuto in ospedale dopo il risveglio.

Anche perché per più di due mesi non ho potuto parlare e quindi non potevo avere riscontri
sulla veridicità di quanto vissuto.

Quando ho ripreso a parlare avevo in buona parte ricostruito la parte allucinatoria, ma comunque ho chiesto timidamente a Roos se avesse letto sui giornali qualche notizia riguardante me
o un aereo caduto.
Ho tirato un sospiro di sollievo quando mi sono sentito dire: «Ma che diavolo stai dicendo?» Insomma, tutto frutto di allucinazioni e un senso di sollievo che ha cancellato la sensazione ancora presente di dover scappare da qualcosa di terribile.

Dopo il risveglio ho anche pensato di far telefonare alla banca e chiedere se ci fosse stato
un addebito di 320 euro sulla carta di credito. Però non l'ho fatto.

Questo per dire quanto vera fosse stata la seconda vita vissuta e che impronta ha lasciato nel mio cervello.

Diciamo che il mondo a cui sono ritornato, con tutti i problemi del covid, sanitari, economici, sociali, è in effetti più tranquillo e sereno del mondo che avevo creato nella mia mente.
E quindi che mi sto riadattando ben volentieri alla mia banale vita nel mondo reale.

 

NOTA

Le vicende raccontate nella descrizione delle allucinazioni, pur essendo ispirate a esperienze vissute
e a reali fatti di cronaca, sono interamente frutto dell’immaginazione di una mente condizionata
da sostanze chimiche in uno stato di incoscienza. Esse non rispecchiano necessariamente le convinzioni
o le abitudini comportamentali del soggetto – lo scrivente – nel suo stato cosciente. Sono state riportate
a scopo documentario a favore di conoscenti e amici ed eventualmente di chi stia raccogliendo materiali sull’effetto della sedazione su pazienti intubati.

 

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